Di Federico Preziosi
L’avevamo lasciata con l’amore ai tempi delle favole, nell’opera precedente “E dietro le spalle gli occhi”. Questa volta Lucia Triolo, vincitrice della sezione Libri inediti della XI edizione del Premio Alberoandronico, torna con "Metafisiche rallentate", un’opera più ambiziosa e pregna di un mood totalmente diverso rispetto alla silloge precedente. Edita da Bibliotheka con la minuziosa prefazione di Armando Saveriano, Metafisiche rallentate dismette quasi del tutto i panni della favola: qui le poesie sembrerebbero rievocare un sapore quasi più filosofico, eppure quella di Lucia Triolo sembra essere una metafisica basata sui sentimenti senza il bisogno di essere sentimentali. Cambiano gli scenari, di gran lunga più intimi e concettuali e dal sapore vagamente mitteleuropeo, in cui albergano la vitalità e l’impossibilità di risolvere la distanza tra l’uomo e l’ineffabile, a partire dalla malinconia, dal passato che non ritorna e, naturalmente, dalla mancanza. C’è una dimensione onirica stesa pagina per pagina, in cui si rappresenta il conflitto tra il desiderio e il sospeso, tra possibile e impossibile: «E non c’è più fine/ quando amare/ diviene/ l’esecuzione continua/ della tua condanna/ a morte» la poeta intona un canto lapidario, “condanna a morte”, una perfetta immagine in cui la sospensione e l’indefinito non lasciano spazio ad una vita reale.
L’avevamo lasciata con l’amore ai tempi delle favole, nell’opera precedente “E dietro le spalle gli occhi”. Questa volta Lucia Triolo, vincitrice della sezione Libri inediti della XI edizione del Premio Alberoandronico, torna con "Metafisiche rallentate", un’opera più ambiziosa e pregna di un mood totalmente diverso rispetto alla silloge precedente. Edita da Bibliotheka con la minuziosa prefazione di Armando Saveriano, Metafisiche rallentate dismette quasi del tutto i panni della favola: qui le poesie sembrerebbero rievocare un sapore quasi più filosofico, eppure quella di Lucia Triolo sembra essere una metafisica basata sui sentimenti senza il bisogno di essere sentimentali. Cambiano gli scenari, di gran lunga più intimi e concettuali e dal sapore vagamente mitteleuropeo, in cui albergano la vitalità e l’impossibilità di risolvere la distanza tra l’uomo e l’ineffabile, a partire dalla malinconia, dal passato che non ritorna e, naturalmente, dalla mancanza. C’è una dimensione onirica stesa pagina per pagina, in cui si rappresenta il conflitto tra il desiderio e il sospeso, tra possibile e impossibile: «E non c’è più fine/ quando amare/ diviene/ l’esecuzione continua/ della tua condanna/ a morte» la poeta intona un canto lapidario, “condanna a morte”, una perfetta immagine in cui la sospensione e l’indefinito non lasciano spazio ad una vita reale.