Di Lucia Triolo
Muovo
dal famosissimo “Canto
di me stesso” di
Walt Whitman: “Canto
me stesso, e celebro me stesso/ E ciò che assumo voi dovete
assumere”,
procedo imbattendomi in “Autoritratto
entro uno specchio convesso”
di John Ashbery: “Lo
specchio scelse di riflettere solo ciò che egli vedeva/e che bastava
al suo scopo: la sua immagine/ vetrificata, imbalsamata, proiettata a
un angolo di 180°”
e mi ritrovo tra le mani un piccolo libro dal curioso titolo: “Tutte
le parole per non dirlo”.
Mi
chiedo: una provocazione? Per non
dire cosa?
Risposta: “Che
sono così”, “Che
ho paura”, “Che ho speranza”, “Che l’amore ha tante facce”.
E dunque, infine
“…quello
che non riuscirei mai ad ammettere, ad
esprimere
direttamente.
Allora
cerco le parole che sappiano girarci intorno.
Intorno
alle mie paure, ai miei amori, alle mie voglie
Le
parole che lascino intravedere senza raccontare” (XIII).
Ah,
ecco, afferro: come da una potatura sapiente rifiorisce più vivo e
più fecondo il desiderio di raccontarsi!
….