Di Giuseppe Cerbino
Diceva
Alfonso Gatto che le poesie appartengono sempre alla voce di chi le
ha intonate per la prima volta, ossia all'autore. Leggendo le
liriche di Ostinato - Suite in versi (Helicon Editore) di Cinzia Della Ciana, la certezza di
questa appartenenza vacilla sempre di più, man mano che ci si
inoltra nelle varie sezioni di questa silloge che presenta la
peculiarità di non dire alcunché della vita di chi l'ha scritta. A
me pare un modo catartico di non essere ostaggi del proprio
sentire troppo personale e psicologico, allo scopo di tornare alla “forza degli occhi” - per usare sempre
una espressione di Gatto - e a quello stato di cose invisibile di
matrice epicurea che è la musica.
“Ostinato”
è un titolo anomalo per chi non frequenta il mondo della musica
tradizionale; infatti allude al basso continuo che accompagna la
struttura melodica di una composizione e che, nel caso della presente
silloge, innerva le oltre cento liriche in essa contenute. La parola,
per la poetessa toscana, è soprattutto un "pretesto" sonoro;
uno strumento attraverso cui si delineano dei piccoli affreschi in
cui protagonista è quasi sempre la natura con i suoi paesaggi.
In un periodo in cui si chiede alla poesia di essere al passo con i tempi, Della Ciana propone il suo personale controcanto e in filigrana la sua visione poetica che non smette mai di cantare ciò che per i greci è l'essere: i fiumi, i boschi, i rami, i germogli... ma anche le città e i luoghi; non dobbiamo affatto dimenticare che da lì veniamo e lì torniamo come in una sorta di canone retrogrado. Nella scrittura di Cinzia Della Ciana suono (inteso come ἦχος e φωνή ) e parola ( intesa come φωνή unita a noema) cercano un accordo, una simbiosi che da sempre la poesia pretende di sancire. Ciò si evidenzia con l'indizio offerto dall'uso disinvolto di assonanze e allitterazioni che sembrano far dimenticare il “significato”. Ma è in questo "sembrare" che si dischiude l'espressione di Della Ciana. La silloge è pensata come una partitura musicale e chi vi si accosta deve essere consapevole di "ascoltare" mentre si legge. La differenza con una partitura in senso stretto è la competenza che non è di tutti. Queste liriche, invece, permettono a chi non sa di musica, addirittura di leggerla. Ora, senza entrare nei tecnicismi, in cui non sarei nemmeno eccessivamente ferrato, qui basta dire che i modi in cui la poetessa accosta le parole o decide gli "a capo" riproducono, in fondo, i movimenti di una "ciaccona", di una "passacaglia" oppure un "allegro" o un "adagio" e via dicendo. Tutto dipende dal modo in cui il lettore si affida al verso.
In un periodo in cui si chiede alla poesia di essere al passo con i tempi, Della Ciana propone il suo personale controcanto e in filigrana la sua visione poetica che non smette mai di cantare ciò che per i greci è l'essere: i fiumi, i boschi, i rami, i germogli... ma anche le città e i luoghi; non dobbiamo affatto dimenticare che da lì veniamo e lì torniamo come in una sorta di canone retrogrado. Nella scrittura di Cinzia Della Ciana suono (inteso come ἦχος e φωνή ) e parola ( intesa come φωνή unita a noema) cercano un accordo, una simbiosi che da sempre la poesia pretende di sancire. Ciò si evidenzia con l'indizio offerto dall'uso disinvolto di assonanze e allitterazioni che sembrano far dimenticare il “significato”. Ma è in questo "sembrare" che si dischiude l'espressione di Della Ciana. La silloge è pensata come una partitura musicale e chi vi si accosta deve essere consapevole di "ascoltare" mentre si legge. La differenza con una partitura in senso stretto è la competenza che non è di tutti. Queste liriche, invece, permettono a chi non sa di musica, addirittura di leggerla. Ora, senza entrare nei tecnicismi, in cui non sarei nemmeno eccessivamente ferrato, qui basta dire che i modi in cui la poetessa accosta le parole o decide gli "a capo" riproducono, in fondo, i movimenti di una "ciaccona", di una "passacaglia" oppure un "allegro" o un "adagio" e via dicendo. Tutto dipende dal modo in cui il lettore si affida al verso.
Saremmo
sciocchi se eludessimo la facile accusa di “manierismo” di
questa silloge; accusa che occorre affrontare liquidandola con la convinzione che il poeta - dice Sandro Penna - è colui che crede nella capacità
di far “risuonare” le parole tra di loro e in questo si
genera sempre qualcosa che non si può stabilire a priori. La
fiducia totale alla musica intesa come segreta struttura del mondo è
più forte della funzione della parola intesa come testimonianza.
Niente di più inattuale della poesia poiché ogni atto si genera
nella parola. Della Ciana ne è perfettamente consapevole e non
pretende di affidare alla parola poetica compiti che forse può anche
non avere.
I
riferimenti musicali sono piuttosto chiari e non andrei oltre quanto
detto da Franco Di Carlo nella sua postfazione al libro. A me
interessa sottolineare, invece, ciò che non c'è in questa silloge;
come ci insegna il pensiero filosofico da Parmenide ad Adorno e
Wittgenstein, ciò che non appare è più importante di ciò che
appare perché ciò che non appare è la ragion d'essere che segna
l'apparire. Cinzia Della Ciana sembra lasciare il discorso intorno
alla “ferita” personale (ciò che non appare) alle spalle della
parola la quale, tuttavia, si fa carico inevitabilmente di questa ferita: dietro il suono
sembra quasi che non ci sia nulla da intercettare; ma in esso però
si apre ciò che può essere aperto: la “bellezza” che tiene insieme gioia e dolore in un unico cammino della Parola.
***
Dispietato
Marcia
***
Dispietato
Marcia
Inquieta nella natura trovare
selva di lame verticale
ove anche uccello fugge
e il passaggio illabirinta tortuosa.
Vitale si fa l’attraversare
anaffettiva ai rami aculei
anche se il buio è rosso
nel fitto di fusti pilastri.
E dal balzo balena il tuono
e non saranno piogge sparse.
selva di lame verticale
ove anche uccello fugge
e il passaggio illabirinta tortuosa.
Vitale si fa l’attraversare
anaffettiva ai rami aculei
anche se il buio è rosso
nel fitto di fusti pilastri.
E dal balzo balena il tuono
e non saranno piogge sparse.
Tu bàgnati
ma lungo la via niente prigionieri.
***
ma lungo la via niente prigionieri.
***
Piovo
Adagio
Non sono pianto
non sono pioggia
ma piovo
perché affoghi il vuoto
di chi non ha rime
nella falotica fatica
che io amo
temporale vita.
***
non sono pioggia
ma piovo
perché affoghi il vuoto
di chi non ha rime
nella falotica fatica
che io amo
temporale vita.
***
Solo in maggio
Allegro ma non troppo
Solo in maggio i cieli
sono così cavi e gonfiano
lo schermo per ogni verso.
Solo in maggio
filmano il firmamento
nubi straripano panna
graffi di raggi e frange.
Solo in maggio.
E io li aspetto più
delle rose.
sono così cavi e gonfiano
lo schermo per ogni verso.
Solo in maggio
filmano il firmamento
nubi straripano panna
graffi di raggi e frange.
Solo in maggio.
E io li aspetto più
delle rose.
belle, complimenti!
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