martedì 16 luglio 2019

La misura del Silenzio di Davide Cuorvo

Di Armando Saveriano


La misura del Silenzio di Davide Cuorvo, silloge edita da Manni, nel novembre 2017, riesce ad affermare l’alternarsi di forme e di stati mutevoli, che fanno della metamorfosi il concetto di bellezza in tutte le gamme e le sfumature di una disperante e orgogliosa malinconia, come in un triste violoncello del colore, à la façon di alcuni exempla del precoce newyorkese Stanley Moss, che incontra già nell’infanzia le arie di Rossini e la facondia di Shakespeare. Passeggero e navigatore di un aerostato audace e filante, il giovane conzano di origini pompeiane sorvola terreni abusati per riconcimarli, per poetaformarli nell’operazione di disgaggio delle pericolanti tendenze che oggi –ahinoi– vanno per la maggiore, grazie alla personale concezione della Vita e della Creazione, grazie a quella creta follicolare che al suo momento fu magma e fece l’incandescenza di autori come André Breton, César Vallejo, Yehuda Amichai, Fernando Pessoa, Federico Garcia Lorca. Certamente, alla base della sperimentazione linguistica, ci sono per l’appunto le antiche lezioni di una zuffa tra senso e nonsense, di una contrapposizione tra spinta anarchica e rimpolpato classicismo, fra tratteggi astratti d’eco surreale e la presenza pressurizzante, sui fondali, di un nocchio di estraneità, sofferenza e solitudine. Scrive, nella prefazione, Wanda Marasco: Il silenzio immisurabile (in questo senso si potrebbe dire ossimorico il titolo della raccolta) fa da residuato di realtà e di pensiero. È un’ombra che si aggiunge a una nuova soglia da superare. Forse è la sostanza del cammino, la dismisura che continua a disegnare spettralità insieme a radici e vene…


*
Davide Cuorvo è nato nel 1992 a Pompei, vive in provincia di Avellino. Ha studiato nelle Università di Pisa e di Napoli, è attore, scrittore e direttore artistico della associazione culturale Logopea. Vincitore del prestigioso Premio Aoros con la raccolta inedita “Il dolore è una vecchia contrada”, ha fondato il Premio Letterario “Città di Conza della Campania”, giunto quest’anno alla V edizione.

LA NOTTE
L’albatro può finalmente appostarsi
nel cielo, sugli angoli delle labbra rotonde.
Nella notte secca è la luna che brucia
il respiro. L’inquietudine attraversa la cruna
dell’ago e la pioggia cade dagli alberi dormienti.
Perché piange l’alba non saprei spiegarlo.
La brezza m’intenerisce le guance e lancia
un belato nelle praterie dell’azzurro.
Nella notte non è mai un numero il cuore
ma un paesaggio e la sua ombra,
una chitarra dove gli uccelli riposano.
La notte è una fronte dove gemono i sogni
con gli arbusti di lacrime e i fiori a novembre.
È una spalla ancorata alla pietra
senza curve nell’acqua, né penombre ghiacciate.
Di notte vedo il vento correre incontro alle onde
abbassando le braccia e calcando la rena.
Vorrei che m’insegnasse a cantare la notte.


***
L’INCONSISTENZA
Ho matite troppo corte e fogli un po’ sgualciti
per scalfirti il cuore. Non mi è dato sapere l’ora,
né la permanenza della pioggia. E sul cortile
un’altra spina mi nasconde e m’accosta
al vento.
Se solo inconsistente mi scostassi
all’ombra, pur di un altro affanno piangeresti.
È stare in disparte come un grido
quando è muto il pensiero, e tutto tace.
Non comprendo l’innocenza, il vuoto, il non errore
o l’esistenza seduta al buio, senza cuore.
Devi imparare a sostare dentro agli alberi
-dice il sole- e poi rimpiange i suoi confini.
D’inesistenza taccio in questi versi orizzontali.
La stagione non è senziente, la mia esistenza
è affine al tuo silenzio; siano muti gli sguardi,
per amare anche i ciechi.



***
EURITMIE
Desiderai pattinare nei tuoi occhi
mentre tu chiudevi le imposte.
C’è sempre un esilio
a doppia corsia
nei passi che s’involano alla luna,
una pupilla di fiume presa in prestito
più leggera del fumo.
Dole l’anima al mancato appuntamento
senza senso, senza sogno
sulla riva di un’altra silloge
di sassi.


***

PASSEGGIO FRA I GRADINI DEL MIO TEMPO
S’innalzava la sera.
L’anima viziata ricopriva le parole
e la nebbia del recinto appresso;
mi disturba la quiete che s’inoltra.
Come stridere d’un vetro infranto
passeggio fra i gradini del mio tempo.
Può distruggermi, oramai, il sentire
d’un battito di ciglia il suo riflesso,
come il rumore sordo di un addio
o un peccato annunciato ad altro inverno.
Senza istanti ad esitare, in luogo buio
di ora eterna sarò mai ricordo
o di foschia il suo respiro?
È ancora roccia questo grido.
Sciogli, ti prego, la mia ira
La mia voce nel tuo silenzio, cogli.
Davide Cuorvo, da La Misura Del Silenzio, Manni 2017

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