Di Armando Saveriano
La
misura del Silenzio di
Davide Cuorvo, silloge edita da Manni, nel novembre 2017, riesce ad
affermare l’alternarsi di forme e di stati mutevoli, che fanno
della metamorfosi il concetto di bellezza in tutte le gamme e le
sfumature di una disperante e orgogliosa malinconia, come in un
triste violoncello del colore, à la façon di alcuni exempla del
precoce newyorkese Stanley Moss, che incontra già nell’infanzia le
arie di Rossini e la facondia di Shakespeare. Passeggero e navigatore
di un aerostato audace e filante, il giovane conzano di origini
pompeiane sorvola terreni abusati per riconcimarli, per poetaformarli
nell’operazione di disgaggio
delle pericolanti tendenze che oggi –ahinoi– vanno per la
maggiore, grazie alla personale concezione della Vita
e della Creazione,
grazie a quella creta follicolare che al suo momento fu magma e fece
l’incandescenza di autori come André Breton, César Vallejo,
Yehuda Amichai, Fernando Pessoa, Federico Garcia Lorca. Certamente,
alla base della sperimentazione linguistica, ci sono per l’appunto
le antiche lezioni di una zuffa tra senso e nonsense,
di una contrapposizione tra spinta anarchica e rimpolpato
classicismo, fra tratteggi astratti d’eco surreale e la presenza
pressurizzante, sui
fondali, di un nocchio di estraneità, sofferenza e solitudine.
Scrive, nella prefazione, Wanda Marasco: Il
silenzio immisurabile (in questo senso si potrebbe dire ossimorico il
titolo della raccolta) fa da residuato di realtà e di pensiero. È
un’ombra che si aggiunge a una nuova soglia da superare. Forse è
la sostanza del cammino, la dismisura che continua a disegnare
spettralità insieme a radici e vene…
*
Davide
Cuorvo è nato nel 1992 a Pompei, vive in provincia di Avellino. Ha
studiato nelle Università di Pisa e di Napoli, è attore, scrittore
e direttore artistico della associazione culturale Logopea. Vincitore
del prestigioso Premio Aoros con la raccolta inedita “Il dolore è
una vecchia contrada”, ha fondato il Premio Letterario “Città di
Conza della Campania”, giunto quest’anno alla V edizione.
LA
NOTTE
L’albatro
può finalmente appostarsi
nel
cielo, sugli angoli delle labbra rotonde.
Nella
notte secca è la luna che brucia
il
respiro. L’inquietudine attraversa la cruna
dell’ago
e la pioggia cade dagli alberi dormienti.
Perché
piange l’alba non saprei spiegarlo.
La
brezza m’intenerisce le guance e lancia
un
belato nelle praterie dell’azzurro.
Nella
notte non è mai un numero il cuore
ma
un paesaggio e la sua ombra,
una
chitarra dove gli uccelli riposano.
La
notte è una fronte dove gemono i sogni
È
una spalla ancorata alla pietra
senza
curve nell’acqua, né penombre ghiacciate.
Di
notte vedo il vento correre incontro alle onde
abbassando
le braccia e calcando la rena.
Vorrei
che m’insegnasse a cantare la notte.
***
L’INCONSISTENZA
Ho
matite troppo corte e fogli un po’ sgualciti
per
scalfirti il cuore. Non mi è dato sapere l’ora,
né
la permanenza della pioggia. E sul cortile
un’altra
spina mi nasconde e m’accosta
al
vento.
Se
solo inconsistente mi scostassi
all’ombra,
pur di un altro affanno piangeresti.
È
stare in disparte come un grido
quando
è muto il pensiero, e tutto tace.
Non
comprendo l’innocenza, il vuoto, il non errore
o
l’esistenza seduta al buio, senza cuore.
Devi
imparare a sostare dentro agli alberi
-dice
il sole- e poi rimpiange i suoi confini.
D’inesistenza
taccio in questi versi orizzontali.
La
stagione non è senziente, la mia esistenza
è
affine al tuo silenzio; siano muti gli sguardi,
per
amare anche i ciechi.
***
EURITMIE
Desiderai
pattinare nei tuoi occhi
mentre
tu chiudevi le imposte.
C’è
sempre un esilio
a
doppia corsia
nei
passi che s’involano alla luna,
una
pupilla di fiume presa in prestito
più
leggera del fumo.
Dole
l’anima al mancato appuntamento
senza
senso, senza sogno
sulla
riva di un’altra silloge
di
sassi.
***
PASSEGGIO
FRA I GRADINI DEL MIO TEMPO
S’innalzava
la sera.
L’anima
viziata ricopriva le parole
e
la nebbia del recinto appresso;
mi
disturba la quiete che s’inoltra.
Come
stridere d’un vetro infranto
passeggio
fra i gradini del mio tempo.
Può
distruggermi, oramai, il sentire
d’un
battito di ciglia il suo riflesso,
come
il rumore sordo di un addio
o
un peccato annunciato ad altro inverno.
Senza
istanti ad esitare, in luogo buio
di
ora eterna sarò mai ricordo
o
di foschia il suo respiro?
È
ancora roccia questo grido.
Sciogli,
ti prego, la mia ira
La
mia voce nel tuo silenzio, cogli.
Davide
Cuorvo, da La Misura Del Silenzio, Manni 2017
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