Di Giuseppe Cerbino
La poesia è un canto tanto ostinato e raro, quanto è più praticato da alcuni eletti, è una resistenza per pochi perché questi ultimi non accettano una felicità d'accatto, preconfezionata. Da sempre il poeta rifiuta la “felicità” (terrena e mondana) perché comprende che la realtà è tragica ed evoca a sé quel vento di inquietudine stordente i nostri ma che che stimola le nostre coscienze. Ne è consapevole Gabriella Paci nella sua silloge “Le parole dell'inquietudine” per Luoghi Interiori Editore.
Già dai primi versi del libro si coglie in maniera lucida tale consapevolezza nella misura in cui ciò che ci inquieta non è un ladro che scardina gli infissi delle nostre sicurezze ma è proprio quella zona d'ombra che interpola queste stesse sicurezze. Si vive dell'inquietudine come si vive di un farmaco con fortissimi effetti collaterali che, però, fa tornare alla vita. Senza inquietudine non potremmo nemmeno volgere lo sguardo al Bene; non potremmo cercarlo se non fossimo stimolati da una forma totale di disadattamento al mondo.