
Di Giuseppe Cerbino
La poesia è un canto tanto ostinato e raro, quanto è più praticato da alcuni eletti, è una resistenza per pochi perché questi ultimi non accettano una felicità d'accatto, preconfezionata. Da sempre il poeta rifiuta la “felicità” (terrena e mondana) perché comprende che la realtà è tragica ed evoca a sé quel vento di inquietudine stordente i nostri ma che che stimola le nostre coscienze. Ne è consapevole Gabriella Paci nella sua silloge “Le parole dell'inquietudine” per Luoghi Interiori Editore.
Già dai primi versi del libro si coglie in maniera lucida tale consapevolezza nella misura in cui ciò che ci inquieta non è un ladro che scardina gli infissi delle nostre sicurezze ma è proprio quella zona d'ombra che interpola queste stesse sicurezze. Si vive dell'inquietudine come si vive di un farmaco con fortissimi effetti collaterali che, però, fa tornare alla vita. Senza inquietudine non potremmo nemmeno volgere lo sguardo al Bene; non potremmo cercarlo se non fossimo stimolati da una forma totale di disadattamento al mondo.
Come un vizio caparbiamente presente
è
questa mia inquietudine
compagna
delle stagioni della vita.
Ciò
che consola in questo perenne inferno è la Parola che la Paci
riconosce come quell'Eden invisibile eppure “udibile”.
scorre
la linfa vogliosa di dieci,
cento
nuove primavere. Sopporta
una
finta morte in attesa di resurrezione.
L'aspetto
pregevole di questa silloge è la presenza di elementi sensoriali
declinati in esperienze soprattutto tattili, uditive, olfattive e
gustative come a voler ribadire l'aforisma desantexuperiano
“l'essenziale è sempre invisibile agli occhi” ma è scorto,
sembra suggerire la poetessa, da altri organi; Si enuclea in questo modo il
“paradiso” sotto o dietro l'inquietudine.
del giorno che pregustava il sapore
di
un volo nella vita ignaro
dello
scalpello del tempo che
incide
solchi nel cuore e nella pelle.
Il dettato che si presenta
manifesta la persuasione che tutto debba darsi fuori da ciò che
osserviamo del mondo, fuori dalle inquietudini che viviamo. Il mondo
ci inquieta perché esso è innaturale e incomprensibile e sembra che
non ci sia alcuna opportunità di rettifica. Tuttavia si scorge
un'insperata resistenza alla realtà, un modo in cui il paradiso
“cova” le sue promesse non senza lottare con la materia. Nemmeno
l'azzurro del cielo è esente dalla inquietudine.
non
sa essere quietamente azzurro.
Formalmente, la scrittura
della Paci si incammina su un sentiero già battuto, con un
simbolismo di maniera senza – però – raggiungere una pedanteria
eccessiva. Molte sono le immagini che danno quella sensazione di già
detto ma non per questo “usurato”. A mio modo di vedere, questa
scrittura evocativa e ammiccante, è funzionale ai temi principali
della silloge cari alla poetessa: la memoria e l'incedere del tempo;
in tal senso si può sottolineare una sincerità mai edulcorata e mai orientata in
favore di luoghi comuni o costrutti troppo leziosi.
La
pregevolezza di questa poesia è soprattutto quella di offrire ancora
una volta, versi che aprono una faglia nella realtà granitica e
materica, innestando in essa una pianta che ne trae sempre linfa. Il
mondo non è uno stato di cose che prevarica ma una dilatazione di
senso che ci circonda e non potremmo creare parola se così non
fosse. E' questo il “paradiso” a cui accennavo prima: il poeta
vede un giardino recinto laddove c'è cemento, ma non è una frusta
immaginazione, è la capacità di estrarre la profonda quiete in
ciò che da sempre ci inquieta. Le parole dell'inquietudine sono
parole che ci portano in altri luoghi ed è per questo motivo che
inquietano. Le parole dell'inquietudine non sono parole inquietanti
ma parole feconde.
***
Presunzione
Si profila il timore dell’incerto essere
Si profila il timore dell’incerto essere
oggi
che il cielo corruscato minaccia
tempesta
mentre l’aria brilla di fatuo sole.
Come
questo tempo volubile
rapida
può mutare la sorte
e
dietro l’apparente velo di
quiete
si cela l’uragano.
Fragile
appare allora il corpo e la sua baldanza
preda
d’improvvisi cambi d’umore del destino.
Oggi
punge viva la presunzione
di
seminare sul foglio bianco parole
da
lasciare in dono ai domani nostri ed altrui
nella
perenne speranza di nutrire di vita pensata
il
nostro fragile andare sotto le intemperie.
***Davanti
al mare
Mentre
ascolto la voce del mare
rastrello
pensieri arenati sulla riva
lambita
da un falso sole d’inverno.
Resta
aquilone vivente un gabbiano
sospeso
controvento nell’aria:
sa
che non è tempo di resa
ma
di attesa paziente che
la
stagione delle burrasche
riporti
a terra i corrotti relitti
prima
del caldo sole che fa brillare
la
sabbia lucente della prospettiva.
La
distesa del mare è orizzonte
dove
immergere gli occhi per
sentire
nel cuore il battito
dell’onda
su cui navigano,
sfidando
pescatori esperti,
tempeste
e arenili sabbiosi,
le
barchette di carta dei desideri.
***
***
Attesa
Vorrei svegliarmi
in un mattino limpido
quando la pioggia della notte
è prigioniera in pozzanghere
che riflettono l’azzurro del cielo
e le lacrime evaporate
in nubi bianche
destinate a pensieri di pace.
Ma punge sempre una domanda
senza risposta, una pena non risolta:
mi accontenterò allora dei pezzi
di cielo
specchiati nel fango
in attesa
di rubare alla notte un sogno
per colorare i mattini di cenere.
Nessun commento:
Posta un commento