giovedì 20 agosto 2015

Attilio Bertolucci e la poetica del dissanguamento

Di lui Caproni aveva detto che era uno dei pochi poeti in cui non si sentiva l'eco di Montale.
In effetti l'opera di Attilio Bertolucci (nato a San Lazzaro di Parma nel 1911 e morto a Roma nel 2000) si eleva al di sopra di quello che è stato giustamente definito il novecentismo dilagante della poesia ermetica italiana e approda invece ad una lietezza che si lascia dietro le spalle la nevrosi dell'uomo contemporaneo per recuperare una dimensione limpida e trasparente.
L’opera di Bertolucci è aliena da ogni considerazione del dolore e del male di vivere dell’uomo contemporaneo schiacciato dal progresso dalla civiltà, e si lancia tutta in unacontemplazione che rasenta un misticismo spesso troppo tronfio ed esagerato, ma comunque indice di una originalità poetica.

La lirica che analizzeremo è un chiaro esempio di quella che Giovanni Raboni ha definito la poetica del dissanguamento.
Sanguinare vuol dire, appunto, morire di fronte alle proprie problematiche e rimettersi alla contemplazione pura della natura e degli affetti familiari di cui Bertolucci, più di chiunque altro, è stato il grande cantore del novecento italiano.

L’opera del poeta parmense funge, perciò, da controcanto alla maggior parte dei poeti italiani del ‘900.
Non più un poeta della nevrosi ma della lietezza.Ma che tipo di lietezza è quella di Bertolucci visto che ad una prima lettura le parole che si leggono nella lirica in questione evocano tutt’altro?
Che cosa comporta, emotivamente e concettualmente parlando, la perdita di sangue intorno a cui essa ruota? Si intuisce, nelle parole del nostro poeta, che la felicità debba pagare il dazio del dissanguamento.


Lasciami sanguinare sulla strada
sulla polvere sull'antipolvere sull'erba,
il cuore palpitando nel suo ritmo feriale
maschere verdi sulle case i rami


di castagno, i freschi rami, due uccelli
il maschio e la femmina volati via,
la pupilla duole se tenta
di seguirne la fuga d'amore


per le solitudini aria acqua del Bràtica,
non soccorrermi quando nel muovere
il braccio riapro la ferita il liquido
liquoroso m'inorridisce la vista,


attendi paziente oltre la curva via
l'alzarsi del vento nel mezzogiorno, fingi
soltanto allora d'avermi udito chiamare,
entra nella mia visuale da un giorno


quieto di settembre, la tavola apparecchiata
i figli stanchi d'attendere, i figli
giovani col colore della gioventù
esaltato da una luce che quei rami inverdiscono.


Da Viaggio d'inverno

La lirica si presenta come una continua e ossessiva invocazione a qualcuno affinché lasci il poeta sanguinare; è una scena rappresentante una agonia che si drammatizza nelle strofe.
La formula drammatizzante, che il lettore coglie, elude la tentazione che ogni poeta moderno ha nei confronti del narrativo e del descrittivo che sono forme in cui l’io lirico spesso si contrae e si assorbe.
L’io che narra o che descrive è un io che domina; invece un io che vive un dramma è un io che perde ogni potere e non ha più nessun giudizio sul mondo; l’io del poeta parmense chiede solo la morte, chiede la perdita del legame che gli permetterebbe di raccontare o di descrivere.
Il senso della lirica è da ricercare, secondo me, nel tentativo da parte di Bertolucci di liberarsi dai legami con le cose (il dissanguamento appunto): il liquido liquoroso, che al poeta crea orrore alla vista, potrebbe ragionevolmente simboleggiare tutto il bagaglio culturale, emozionale, intellettivo, frutto del nostro agire nella realtà e nel contesto in cui ci troviamo a nascere.
Il nostro sguardo sul mondo non è mai puro, ma è sempre condizionato da parametri culturali e sociali.
Da questa consapevolezza nasce il desiderio di rifiuto, di "dissanguamento" appunto, che traduce in filigrana un desiderio di emarginazione dalla realtà perché per vivere e per interagire con essa abbiamo quantomeno bisogno di “sangue”.
Il lettore assiste ad un lento dramma che rappresenta un uomo che sanguina e vuole sanguinare in una strada di campagna; la lettura della lirica ci conduce a intuire che nel momento della fine tutti valori che un uomo coltiva durante la sua vita diventano superflui.
Sanguinare esprime la minaccia che incombe sulla nostra relazione con la realtà, la quale relazione comporta problematiche (paradossi, nevrosi, ansie, angosce) espresse da gran parte della poesia del ‘900.
Sanguinando, il poeta congela il suo rapporto col mondo e ricerca una felicità che non sia il frutto di questo rapporto medesimo.
Solo prima di morire l’uomo sembra instaurare un rapporto autentico con la natura (simboleggiata nella lirica dalla campagna) e, inoltre, vede le cose come sono: prive di quell’investimento di valori (storici,culturali…) che durante la sua vita assume; vede la tavola apparecchiata, i figli in armonia con un elemento fenomenico puro quale è la luce. Attraverso una finzione drammaturgica (cioè quella di sanguinare) Bertolucci ci emoziona facendoci capire come il sentimento della morte che incombe cambia la mia cognizione dell’esperienza conferendole un nuovo significato

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