Di Giuseppe Cerbino
La
scrittura poetica di Pasquale Vitagliano da sempre riconosce negli
oggetti e nelle cose la misura dell'uomo. Non può assolutamente fare
a meno di questa prospettiva. L'oggetto è una sorta di arenaria che
asciuga l'umor vitreo che rende possibile la visione. Vitagliano non
manca di sottolinearlo soprattutto nella sua ultima raccolta “Del
fare spietato” pubblicata per Arcipelago Itaca Editore: il titolo ricalca le formule dei saggi filosofici
che trattano di determinati argomenti. Questo libro è, infatti, una
trattazione in versi dell'inevitabile dramma che tiene insieme la
realtà: “spietato” vuol dire letteralmente assenza di pietà
ossia una condizione che non ci cautela e non ci preserva. Siamo
nell'altezza più estrema ma con il vento in faccia.
Solo
il vento mi dice dove sono
Mi
spaventa in faccia e mi atterrisce
E
se riesco a vedere lucidamente
Tutto
quello che mi accade intorno
A
questa altezza dove sono rimasto solo
Non
riesco a trarne alcun beneficio
Più
odioso è il vento più terribile è l’altezza.
Ciò
che traspare in questa ultima raccolta del poeta pugliese, che è sempre
stato caratterizzato da una vocazione civica, è una anomala
rassegnazione, una sorta di abdicazione all'impegno in un mondo dove
i giochi sono fatti e lo spazio delle possibilità si è
desertificato. E' qui molto forte il dramma della primissima poesia
del '900; la condizione del deserto in cui io non attendo ma,
come dice Camillo Sbarbaro, “ guardo con asciutti occhi me stesso”.
In Vitagliano non si fatica a riconoscere la valenza simbolica
di certi elementi del suo dettato come ad esempio il “vento” che
è per antonomasia sia un fenomeno che spazza via ogni forma di vita
e di speranza sia una rappresentazione piuttosto plastica del
disumano: lo sperimentiamo facilmente quando il
vento ci viene in faccia freddo e gelido nelle giornate di maestrale; non ci permette di essere in pace, di riflettere, di contemplare.
Anche le altezze raggiunte sono irrilevanti con il “vento” o,
fuori di metafora, anche i traguardi più ambiti raggiunti hanno
poca importanza se il mondo è ancora violento, se è ancora
spietato.
Di fronte alla promessa di felicità di questo mondo,
il poeta è ancora colui che cerca di estirpare il dolore con il
canto, perché solo il canto riesce a consolare davvero. Le forme di
rassicurazione del mondo odierno sono sordi ronzii che causano
acufeni fastidiosi.
Non
riesco ad adeguarmi ai twitter
Almeno
se tratto versi seppure dicano
Che
twitter ha riscoperto gli epigrammi.
Alla
parola twitter preferisco la parola rutto
Infatti
proprio non riesco a cinguettare
Con
le cose della vita che eruttano e tremano.
E la promessa di
felicità svela una più graffiante promessa di morte. Ma di una
morte lenta senza neppure la lotta, senza “l'intenzione del volo”
(Gaber).
La lettura di queste liriche stordisce il lettore
abituato alla cifra "urbana" della poesia di Vitagliano nella misura
in cui si rende conto di essere in una dimensione apocalittica dove
la realtà non può essere emendata con le idee.
Siamo
assolutamente lontani delle atmosfere di un Vitagliano impegnato a
dire in altra opera:
È così difficile
portare in versi il vento tra i rami degli alberi,
ma un’idea sì, con una idea si può fare poesia.
Anche se resta imperfetta, in bianco e nero,
ancora muta, e senza montaggio.
Accetto la sfida di essere parola senza voce,
immagine senza movimento.
In questa silloge tutte le cose sono solo "dolenti", sono più drammatiche della sofferenza umana. La
lezione del montaliano “male di vivere” è qui portata alle
estreme conseguenze.
Un
piatto rotto per terra
È
più fragoroso
Del
collasso di un pianeta.
Se
persino un oggetto che si rompe è una ferita, se troviamo il dolore
così vicino; cosa dovremmo sperare ancora? La scrittura di
Vitagliano si concede più lirismo nella misura in cui perde in
“volontà”. L'equivalenza tra scrittura poetica e rassegnazione è
così conclusa.
Questa raccolta di poesie, mantiene, tuttavia, la
coerenza dello stile asciutto tipico di Vitagliano che ricorre alle
cose con cui tutti ci relazioniamo; non c'è mitologia che non sia
quella dell'oggetto, non c'è morte che non sia questa che ci circonda
da sempre.
E pur tuttavia, rassegnazione non significa cedimento;
Vitagliano non manca di ribadire la sua educazione alla resistenza,
la puntuta “lingua di cuoio” che non parla ma non cede; non si fa invadere dal discorso degli altri ribadendo l'inemendabile
istanza di ogni presenza umana. L'uomo non può essere violato in
nessun caso.
Resto
fermo sul piano più stralunato
Di
un sasso che non ha bocca per parlare
E
comunque ingiunge di non essere preso alla leggera.
Pasquale
Vitagliano. è nato a Lecce. Vive a Terlizzi (BA) e lavora nella Giustizia.
Giornalista e critico letterario per riviste locali e nazionali. Ha
scritto per Italialibri, Lapoesiaelospirito, Reb Stein, Nazione
Indiana, Neobar, Nuovi Argomenti, il Ponte. Collabora con la rivista
Incroci,
diretta da Raffaele Nigro e Lino Angiuli. Nel 2015 è tra i premiati
nella sezione cultura e costume del Premio “Michele Campione”
dell’Ordine dei Giornalisti della Puglia.
Menzione
speciale nel 2005 al Premio di Poesia Lorenzo Montano Città di
Verona – Sezione Opera Inedita. Nel 2006 è tra i “Segnalati”
nello stesso premio – Sezione Poesia Inedita.
Ha
pubblicato le seguenti raccolte:
Amnesie
amniotiche (Lietocolle,
2009);
Il
cibo senza nome
(Lietocolle, 2011);
Come
i corpi le cose
(Lietocolle, 2013);
11
Apostoli, poesie sul calcio
(Zona contemporanea, 2016);
Habeas
Corpus (Zona
contemporanea, 2017).
Nel
2011 ha partecipato alle opere collettive Impoetico
mafioso – 100 poeti contro la mafia,
curata da Gianmario Lucini (Edizioni CFR) e La
versione di Giuseppe – poeti per Don Tonino Bello,
curata da Abele Longo, (Edizioni Accademia di Terra d’Otranto). E’
tra i poeti antologizzati nello studio A
Sud del Sud dei Santi. Sinopsie, Immagini e Forme della Puglia
Poetica, a cura di
Michelangelo Zizzi (Lietocolle, 2013). E’ presente nell’antologia
Come sei bella. Viaggio
poetico in Italia,
curata da Camillo Langone (Aliberti Compagnia Editoriale, 2017).
E’
presente nell’Atlante dei poeti curato dall’Università di
Bologna.
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