domenica 1 settembre 2019

"Il peso della luce" di Giovanni Sepe


di Federico Preziosi 



"Il peso della luce", (Contoluna Editore -  2018)  è una  silloge  di Giovanni Sepe a cura di Giuseppe Cerbino,  un talento spontaneo, probabilmente tra i più genuini che si possano trovare  nel panoroma letterario; egli rappresenta una figura emblematica dei tempi attuali: un  poeta che ha esordito su Facebook. Una nuova figura che  esprime una  verve demiurgica, senza appartenere a un contesto riconducibile alla cultura elitaria e salottiera, essendo oggi la poesia un’arte quasi prettamente esclusiva e poco accessibile a un grande pubblico di lettori.
La poesia dell’autore campano si nutre di immagini semplici, quotidiane e al tempo stesso vivide. Tale approccio esula da un retroterra di natura accademica: Giovanni Sepe non ha scuole alle spalle, e nemmeno riferimenti poetici ben definibili in cui è possibile decodificarlo, tutto sta nella naturale propensione al verso intesa come vera e propria vocazione. Nei suoi testi il linguaggio tende alla semplicità, talvolta anche metrica in endecasillabi spalmata su comuni figure che afferiscono alla realtà circostante: Napoli, i sentimenti, la famiglia, le contraddizioni della vita con forze e debolezze, i desideri, le malinconie del presente e del passato, anche recente. 

In quest’opera, nello spiegamento del prodigio poetico, si respira una ricerca volta all’intima essenzialità: il peso della luce rappresenta la consapevolezza di essere illuminati (senza il timore di essere tacciati di presunzione) e di portare dentro sé una saggezza antica, che viene dalla vita e non dall’”Università della vita” in cui la competenza viene messa in discussione con argomentazioni pretestuose: "Con chi piangerò illuminato?/L'urgenza viene/ e il silenzio preme/ e io sotterro, nascondo il pianto/ dietro gli occhi spenti al mondo". È il cardine dell’essere umano in quanto tale che Giovanni Sepe porta allo scoperto, e tale espressione trova nell’autenticità la propria dimensione immortalata con uno stile privo di enfasi, non esente da venature sentimentali ma mai sdolcinato, una ricercarca demitizzata dalla propria persona, dunque estraneo alla cultura romantica, e volto ad elevare le figure e le immagini che ne abitano il vissuto. In questo chiunque può riconoscere se stesso, colti e meno colti, ricchi e poveri, appassionati e consumatori saltuari di poesia. Nelle liriche si percepisce un realismo del verso, inteso come descrizione di una realtà personale e ambientale; eppure l’azione trasfigurante del desiderio pregna i versi di ulteriore umanità, li sottrae alla freddezza e a questi conferisce un calore capace di orientare l’animo del lettore: un sentimento per la vita e la poesia che è cartina tornasole dell’intera silloge. È il peso dell’esistenza che si dispiega nelle piccole cose, quelle davvero importanti e capaci di avvicinare tutti noi, mettendoci a nudo, eliminando le differenze culturali, sociali ed economiche. 

"È forse trovarti a rendermi solo./ Null'altro vedo, tra le sponde di un fiume:/ il mare è cercarti".



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