Di Gerardo Iandoli
Con Variazione Madre (Roma, Editore Controluna, 2019), si sarebbe tentati di partire dal dato che subito colpisce il
lettore: questa raccolta di liriche al femminile sono state scritte
da un uomo. Eppure, prima di analizzare l’interazione tra testo e
paratesto, bisogna studiare le poesie e preoccuparsi soltanto della
voce che i testi stessi contribuiscono a creare, senza far
riferimento a dati extratestuali.
Spesso, il soggetto femminile che parla rivendica il suo ruolo di madre: “Non pensavo poter essere madre” (p. 31), “Essere/una madre e una donna/una sola cosa” (p. 32), “io madre e amante” (p. 55). Andando più a fondo, si può considerare la poesia La camera (p. 27) il testo che più aiuta il lettore a comprendere la reale natura di questa soggettività. Emblematica la chiusa: “l’amniotico sa bene del Se/in assenza di Sé”.
La dicotomia se/sé identifica la donna
come il soggetto della “possibilità delle identità”: la donna,
quindi, è madre in quanto soggetto che rende possibile la
soggettività stessa. Preziosi, quindi, anziché voler esplorare la
soggettività femminile, sembra voler leggere nella donna una
metasoggettività che rende possibile lo sviluppo della soggettività
stessa. Alla luce di ciò, non stupirà che la voce femminile usi un
linguaggio estremamente carnale, a volte addirittura volgare,
rimandando continuamente alla sfera semantica del ventre e delle
viscere. Ad esempio, si può leggere:Spesso, il soggetto femminile che parla rivendica il suo ruolo di madre: “Non pensavo poter essere madre” (p. 31), “Essere/una madre e una donna/una sola cosa” (p. 32), “io madre e amante” (p. 55). Andando più a fondo, si può considerare la poesia La camera (p. 27) il testo che più aiuta il lettore a comprendere la reale natura di questa soggettività. Emblematica la chiusa: “l’amniotico sa bene del Se/in assenza di Sé”.
Per ogni corpo un
grembo
e ad ogni grembo un fiore: solo in seno scorse
nelle falle il Signore. E di germogli m’affannava caudato il tempo.
Era in queste primavere, mi sventravi dentro. Mi si perdoni
la carne amara, la strenua via. Si perde il peccato
si imbastisce l’animo (p. 60).
e ad ogni grembo un fiore: solo in seno scorse
nelle falle il Signore. E di germogli m’affannava caudato il tempo.
Era in queste primavere, mi sventravi dentro. Mi si perdoni
la carne amara, la strenua via. Si perde il peccato
si imbastisce l’animo (p. 60).
In questi versi la donna
è corpo, il quale è a sua volta caratterizzato dalla presenza del
grembo e poi del fiore. Sembra quasi un teorema matematico: a ogni
corpo (di donna) corrisponde un grembo, al quale corrisponde a sua
volta un fiore (figlio). Manca la dimensione psichica e intima del
femminile: il campo semantico del corpo è egemone:
Adesso il talamo non
ha
altri occhi che per il ventre
No, inutile dire
non ti riesce di andare
oltre il ventre (p. 75).
altri occhi che per il ventre
No, inutile dire
non ti riesce di andare
oltre il ventre (p. 75).
Qui si legge tutta la
contraddittorietà di tale raccolta: i versi appena letti risuonano
come un’accusa a un tu maschile animalesco (“il canto spietato
degli ormoni” si può leggere in un verso precedente della stessa
poesia) che si limita a considerare la donna come un “ventre”.
Eppure, è il linguaggio della raccolta stessa che non riesce ad
andare oltre il “ventre”: qualsiasi aspetto del femminino viene
descritto attraverso metafore che rimandano alla dimensione fisica.
Addirittura, il corpo femminile è scomposto in vari pezzi: seno,
ventre, bocca, mani, proprio come accade nel linguaggio maschile, che
spesso feticizza il “pezzo” per descrivere la bellezza della
donna. Ed è proprio il termine “ventre”, insieme al suo
derivato “sventrare”, a comparire più spesso nella raccolta:
esso rimanda non solo alla dimensione più bassa dell’essere umano,
ma, nella donna, anche alla possibilità del generare:
io, niente, ti amo anche
se non ti amo
e forse non amo chi poi verrà dopo
Io, niente, sì amo l’ombra d’un comico
al punto mi viene che…niente,
ti amo e vomito (p. 30).
e forse non amo chi poi verrà dopo
Io, niente, sì amo l’ombra d’un comico
al punto mi viene che…niente,
ti amo e vomito (p. 30).
Il ripetersi del verbo
“amare” e del tic verbale “niente”, tipico dello slang
giovanile contemporaneo, mostrano come l’atto dell’amore in
questo io donna non abbia bisogno di un oggetto: non si ama qualcosa,
ma si ama un ipotetico “tu” che non viene descritto. L’io ama
il tu, ma il continuo ripetersi di “niente” ci mostra come la
casella del “tu” sia vuota, non è riempita da un individuo ben
preciso. Il “vomitare” che conclude questa poesia ci mostra,
ancora una volta, come l’intera scrittura di Variazione Madre
rinunci a qualsiasi forma di astrazione al fine di carnificare
tutto: il gesto dell’amore, quella tensione che spinge l’io ad
avvicinarsi al tu, viene descritta come qualcosa che dal di dentro si
getta nel di fuori. Un movimento, inoltre, violento, doloroso e
disgustoso. Ancora una volta, ci viene in aiuto la poesia La
camera, la quale ha aperto il nostro ragionamento: “La camera è
il dolore:/la disambiguazione del corpo” (p. 27). Il ventre, la
“camera”, attua una disambiguazione del corpo: lo sdoppia, ma
solo per definirlo meglio. Di fronte alla pluralità dei sensi, la
disambiguazione aiuta a capire a cosa ci si sta riferendo. La donna
in quanto madre genera più io e in questo suo moltiplicarsi, in
realtà, si definisce ancora di più, in quanto madre.
La camera è il dolore, il ventre è il dolore: la donna madre, in quanto possibilità del Sé, è anche certezza del dolore. Di fatto, la raccolta è attraversata da questa visione pessimistica in cui la soggettività si esercita soltanto attraverso il dolore: se la donna è la possibilità del Sé, una volta che questo Sé si è realizzato, sarà certo che soffrirà:
La camera è il dolore, il ventre è il dolore: la donna madre, in quanto possibilità del Sé, è anche certezza del dolore. Di fatto, la raccolta è attraversata da questa visione pessimistica in cui la soggettività si esercita soltanto attraverso il dolore: se la donna è la possibilità del Sé, una volta che questo Sé si è realizzato, sarà certo che soffrirà:
Ci sarei tornata con la
lingua a pregustare
le camere mortuarie
sapere che dai corpi si può imparare
anche da morti.
… sventrando si impara…
così come sventrandomi ho provato misericordia
e riverenza per gli inganni (p. 71).
le camere mortuarie
sapere che dai corpi si può imparare
anche da morti.
… sventrando si impara…
così come sventrandomi ho provato misericordia
e riverenza per gli inganni (p. 71).
Non è solo il linguaggio
a spezzare la donna, poiché è ella stessa a spezzarsi,
sventrarsi: rinunciando a ogni forma di psicologismo,
Variazione Madre fa del corpo l’unica fonte di conoscenza,
tant’è che non importa se esso sia vivo o morto: il corpo
significa indipendentemente dalla soggettività. Se la vita è
dolore, la donna stessa sembra incarnare questa realtà:
Volevo in parole la
liberazione corporea
ma il ferro battuto degli ultimi tocchi
coniava di nuovo l’entrata
laddove la gatta pisciava.
Io cagna randagia dai versi di scabbia
ho riposto l’olezzo
nelle medesime scatole
e in questo pelo brandisco le muffe
come un conato eretico
a pezzi di vomito
che i piccioni beccano (p. 72).
ma il ferro battuto degli ultimi tocchi
coniava di nuovo l’entrata
laddove la gatta pisciava.
Io cagna randagia dai versi di scabbia
ho riposto l’olezzo
nelle medesime scatole
e in questo pelo brandisco le muffe
come un conato eretico
a pezzi di vomito
che i piccioni beccano (p. 72).
Ancora una volta, il
testo risulta essere contraddittorio: è il linguaggio corporeo della
raccolta a impedire la liberazione. È la forma di Variazione
Madre a incatenare il femminile all’interno di una pura
dimensione corporea: alla donna, quindi, non resta che liberarsi del
di più di corpo che ha al suo interno. Il vomito espelle l’eccesso,
così come il parto espelle una soggettività che non è più
riconducibile a quella del corpo materno. La disambiguazione permette
di selezionare un senso, non di liberarsi del senso stesso. Così la
donna madre può solo liberarsi dalla molteplicità corporea senza
poter rinunciare alla corporeità stessa.
Emblematici da questo punto di vista i seguenti versi:
Emblematici da questo punto di vista i seguenti versi:
C’è della gioia nel
dolore dell’insieme
nell’eludere le vampe statiche e onniscienti,
un convivio inalberato d’una resa
come lastrico di zolle in cartapesta.
nell’eludere le vampe statiche e onniscienti,
un convivio inalberato d’una resa
come lastrico di zolle in cartapesta.
C’è una foga nello
struggersi in parole,
le parole d’istantanee ribellioni, le parole irrorano
i punti del non approdo, come rivissuti invocano vissuti.
le parole d’istantanee ribellioni, le parole irrorano
i punti del non approdo, come rivissuti invocano vissuti.
C’è del profondo
self-amore nello scavo
in questo rancido scucirsi dal petto le ferite, nello scrivere
urlando a bassa voce come un attimo animale sta all’anima
in un appiglio, che è senso d’abbandono il lieve ritrovarsi (p. 50).
in questo rancido scucirsi dal petto le ferite, nello scrivere
urlando a bassa voce come un attimo animale sta all’anima
in un appiglio, che è senso d’abbandono il lieve ritrovarsi (p. 50).
C’è un atteggiamento
sadomasochistico nell’intera raccolta: qui il dolore si fa gioia,
in una sorta di consolazione collettiva. Variazione madre realizza il
dolore a ogni verso attraverso il linguaggio carnale: riattualizza la
sofferenza. La dimensione poetica, allora, avrebbe il compito di
universalizzare l’esperienza soggettiva del dolore, al fine di
concedere una sorta di pacificazione: se tutti soffrono, allora la
mia sofferenza è già più sopportabile.
Tuttavia, questo sembra essere soltanto un inganno:
Tuttavia, questo sembra essere soltanto un inganno:
Solo un rivolo di sperma
mi cola dalle labbra.
Non mi riesce di essere brava. Io non posso
e non sono brava a ingoiare (p. 69).
Non mi riesce di essere brava. Io non posso
e non sono brava a ingoiare (p. 69).
Quindi, non è una forza
della natura a opprimerla, bensì un potere maschile che la obbliga a
essere sottomessa, addirittura a non essere “brava” nel provocare
piacere, tutto maschile, come nel caso del sesso orale qui evocato.
Pertanto, si può dire che l’intera raccolta vuole riconoscere
nella donna un dolore universale dell’esistere, quando in realtà
questo dolore è soltanto contingente: la donna sottomessa soffre, ma
non a causa della sua natura, ma della violenza che è costretta a
subire. Alla donna viene concesso soltanto di resistere. Non può
rinunciare all’umiliazione, può solo limitarne la portata. Una
posizione molto discutibile, soprattutto se espressa da un autore
maschile che compare in bella vista sulla copertina.
Su questo punto, è necessario tornare al paratesto: la prima poesia della raccolta è l’unica che rievoca la “mascolinità” dell’autore:
Su questo punto, è necessario tornare al paratesto: la prima poesia della raccolta è l’unica che rievoca la “mascolinità” dell’autore:
Divenni
Figlio, Amore e infine Donna
[…]
Sul sesso piovve del mascara, un inchiostro
di lettere e diari, come se l’autunno
fosse primavera senza polline, mentre io
del miele mi cosparsi il volto.
La notte pregavo le falene di mangiarmi
portandomi da Dio senza condanna.
Dinanzi a lui, non volevo fossi io (p. 19).
[…]
Sul sesso piovve del mascara, un inchiostro
di lettere e diari, come se l’autunno
fosse primavera senza polline, mentre io
del miele mi cosparsi il volto.
La notte pregavo le falene di mangiarmi
portandomi da Dio senza condanna.
Dinanzi a lui, non volevo fossi io (p. 19).
L’io maschile compare
come “Figlio”: ma la sua non è una metamorfosi, ma soltanto un
imbellettamento. Il suo corpo non si trasforma in quello di una
donna. Il suo essere donna significa ricoprirsi soltanto dei segni
che, secondo la visione maschile, rappresenterebbero la donna: il
mascara (il trucco, la frivolezza, l’attenzione per l’apparenza,
la sensualità) e il miele (la dolcezza). Di fatto, l’attenzione al
corpo così si spiega: l’uomo, potendo accedere soltanto alla
superficie della donna, la impersona soltanto attraverso il suo
corpo. Così come l’attore giovane che deve ricoprire un ruolo di
un vecchio indossa la barba bianca per simboleggiare la vecchiaia che
non gli appartiene, così l’io maschile spezza la donna in seni,
ventre, bocca per poi ricoprirsene, al fine di simboleggiare il
femminile. A mancare, però, è l’armonia: la donna è scomposta e
all’uomo sfugge la totalità del femminino. Di fatto, Preziosi
analizza una modalità dell’essere donna, quella più tristemente
nota storicamente: quella di madre sottomessa.
Preziosi sembra voler affrontare lo stesso calvario storico che la donna ha dovuto subire: costruisce un Sé di donna così come è vista da un uomo. Vuole soffrire come ella ha sofferto, incatenarsi come ella è stata incatenata. Eppure, paradosso di questa scrittura: Variazione Madre riattualizza, seppure per gioco, quei vecchi schemi, impedendo al lettore di intravedere una via di uscita. Il problema è che quegli schemi patriarcali sono fin troppo noti: per tale motivo, la raccolta non so fino a che punto possa essere utile al lettore. Variazione madre, allora, risulta essere un percorso personale dell’autore, che ha voluto vivere lo stesso dolore storico della donna, forse per capire meglio le storture della società.
Preziosi sembra voler affrontare lo stesso calvario storico che la donna ha dovuto subire: costruisce un Sé di donna così come è vista da un uomo. Vuole soffrire come ella ha sofferto, incatenarsi come ella è stata incatenata. Eppure, paradosso di questa scrittura: Variazione Madre riattualizza, seppure per gioco, quei vecchi schemi, impedendo al lettore di intravedere una via di uscita. Il problema è che quegli schemi patriarcali sono fin troppo noti: per tale motivo, la raccolta non so fino a che punto possa essere utile al lettore. Variazione madre, allora, risulta essere un percorso personale dell’autore, che ha voluto vivere lo stesso dolore storico della donna, forse per capire meglio le storture della società.
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