Di Pasquale Vitagliano
"A
me stesso che non esisto”.
La raccolta di poesie Flavio Malaspina, presentato da Giuseppe
Cerbino per la casa editrice Controluna (collana Lepisma Floema), ha un inizio folgorante e, per
me, ricco di sorprendenti risonanze. Mi sembra un’opera sulla
scrittura più che sul verso; sulla parola più che sulla forma
poetica. Ne troviamo, forse, la dichiarazione. Qualsiasi
cosa sia/ il dopo/ è solo per gli Dei.
Dunque, Malaspina scrive di ciò che viene prima. E prima di Dio,
appunto, c’è il verbo, la parola, il racconto.
Tutta
la prima parte di questa raccolta ha la matura sfrontatezza di
emanciparsi dal “brusio” del verso, quello che, se ben recitato e
con accompagnamento musicale, attrae il pubblico, quello stesso
pubblico che frequenta i reading poetici ma diffida della poesia
scritta che resta prima voce. Un’altra conferma di questa linea
viene dalla scelta di aver alfabeticamente strutturato la sequenza e
l’ordine delle poesie. Tra
il pane e la parola,/ domandandoci/ cosa nutre di più.
Viene
compiuto lo sforzo non comune di “liberare dalla storia” la
poesia, di esaltarne la funzione di scarto e di frattura rispetto
alla realtà, facendole (ri)assumere sulla carta la perduta
sacralità. È un mare
di cielo bianco che mi sommerge/ e, in questa profondità liquida,/
mi accorgo/ che il mare non è da sempre mare.
Ma solo da quando abbiamo imparato a scriverlo. D’altra
parte, mi sembra coraggioso il tentativo, non so quanto cosciente, di
abbozzare a inaspettate forme “mitiche” dei nostri vissuti.
Allora, Hanna&Barbera?/ E
tutti quei maledetti cartoni?/ E quegli orrendi pantaloni corti?/ E
quello stupido cappello di feltro?
Chiaramente non è l’oggetto del verso che definisce il mito ma la
parola poetica. Ogni oggetto, infatti, può diventare mito, sottratto
alla sua esistenza profana e individuale, e aperto ad un universo
suggestivo. Ecco che gli oggetti e le cose della poesia di Malaspina
diventano “un modo di significare, una forma.” E,
per una volta nella vita,/ mi sento davvero bene/ perché di fronte a
me,/ su di un’altra panchina scrostata,/ è seduto Jack Kerouac.
Inoltrandoci
nella lettura di questa raccolta il dubbio sulle strutture che
reggono questa scrittura vengono meno. Dopo la ricerca del mito nella
e attraverso la parola poetica, ci imbattiamo nella riscrittura di
“ciò che è stato scritto”. Un
giorno riscriverò ‘Pinocchio’
per annegare nelle
bugie/ e finire nella pancia della balena,/ lì passerò il resto
della mia vita con un tavolo in legno,/ una scorta di candele,/ ed
una branda per dormire./ Avrò tutto il tempo per rileggere Moby
Dick. Francamente, a
questo punto, la consapevolezza semiologica di questi versi diventa
evidente. E non fosse così sarebbe davvero sorprendente.
Ad
un certo punto, tuttavia, i testi della raccolta si confondono. La
poesia sembra perdere corpo e organicità. Quasi che un fumogeno sia
esploso nel mezzo della scrittura per mettere in fuga il lettore.
Addirittura – anzi, mi domando, se sia voluto e fino a che punto –
salta persino la sequenza alfabetica dei titoli e si rischia di
smarrirsi. Anche la scrittura diventa più incerta, il verso si
espande ma perde forza, vuole, forse, farsi magmatico, ed invece
diventa caotico. Questa cesura fa quest’opera un testo a metà, che
ci mette, però, nella fiduciosa attesa di poter godere di una
scrittura nuova e allo stesso tempo, finalmente, coerente e matura.
Anche nella seconda parte, infatti, scoviamo delle vere e proprie
perle poetiche. Ma quanto può
la gravità sulle mie labbra e la mia lingua/ e sulla mia mano e il
mio inchiostro?!/ Quanto pesa!?/ Gli astronauti di ritorno sulla
terra hanno detto che è come imparare a parlare di nuovo./ Lo è per
me anche scrivere ogni volta il vuoto che mi circonda.
Lo dobbiamo all’Io-poetico che è il vero protagonista di questo
viaggio di Malaspina. Solo che, lo dico ogni giorno a me stesso,
senza struttura, la poesia resta un libro che non viene aperto.
E
forse lo sa lo stesso autore. Vivo
il letargo perenne, lontano dall’incuria del tempo,/ assente agli
altri, nascosto a me stesso,/ perché la mia tomba è una tomba di
libri.
Nessun commento:
Posta un commento