Di Pasquale Vitagliano
"A
me stesso che non esisto”.
La raccolta di poesie Flavio Malaspina, presentato da Giuseppe
Cerbino per la casa editrice Controluna (collana Lepisma Floema), ha un inizio folgorante e, per
me, ricco di sorprendenti risonanze. Mi sembra un’opera sulla
scrittura più che sul verso; sulla parola più che sulla forma
poetica. Ne troviamo, forse, la dichiarazione. Qualsiasi
cosa sia/ il dopo/ è solo per gli Dei.
Dunque, Malaspina scrive di ciò che viene prima. E prima di Dio,
appunto, c’è il verbo, la parola, il racconto.
Tutta
la prima parte di questa raccolta ha la matura sfrontatezza di
emanciparsi dal “brusio” del verso, quello che, se ben recitato e
con accompagnamento musicale, attrae il pubblico, quello stesso
pubblico che frequenta i reading poetici ma diffida della poesia
scritta che resta prima voce. Un’altra conferma di questa linea
viene dalla scelta di aver alfabeticamente strutturato la sequenza e
l’ordine delle poesie. Tra
il pane e la parola,/ domandandoci/ cosa nutre di più.