sabato 21 dicembre 2019

Marina Marchesiello - La resurrezione necessaria


Di Federico Preziosi 

Carne e ossa. Di cos’altro è fatto un essere umano? Sì, certamente si può dire anche di emozioni e sentimenti, eppure quanto resterebbe di queste in assenza di carne e ossa? Da queste premesse sembra muoversi la poesia di Marina Marchesiello contenuta nella silloge La resurrezione necessaria, affidata alla curatela di Giuseppe Cerbino per la collana Lepisma Floema di Controluna Edizioni: versi dove il corpo diventa l’oggetto depositario dell’esistenza.

Carne e ossa si pongono in relazione al tempo, nell’arco della vita mutano nelle dimensioni e nelle forme, costituiscono la struttura portante della parabola umana. Ciò non deve spingere il lettore a credere di essere dinanzi a una poesia dai toni lugubri o gotici, tutt’altro. Marina Marchesiello canta la vita  attraverso la pienezza del corpo: non esiste alcun compimento, nessun desiderio, non restano nemmeno le emozioni una volta che il corpo ha concluso la propria esperienza. In quest’ottica la poesia di apertura, Sono sopravvissuta per la bellezza, è già molto eloquente: «Sono sopravvissuta per la bellezza / di essere rimasta sempre un corpo / con una fantasia a parte» (p. 16), come dire, senza corpo si è già fuori dal perimetro della vita, deprivati del proprio Essere. «Io vago con naso / io valgo di cuore / ancora annuso / se mi viene un ricordo lo amo / se mi viene un ricordo perdo il pelo / e le carezze me le manda il cielo» (p.18). 
Il corpo è il luogo in cui si distribuiscono i sensi. Non è un caso che l’uomo abbia avuto nei secoli la necessità di individuare in un organo, il cuore, il centro del sentimento, della pulsione, dell’inspiegabile e della forza emozionale. Il cuore cambia il proprio ritmo al cospetto di determinati stimoli, siano anche semplici ricordi o accadimenti ri-percepiti. Per una memoria che affiora alla mente tutto si può stravolgere, persino una vita intera, e in questo mutare si rintraccia il proprio affidarsi all’altro: un cielo, un dio, un’entità suprema e misteriosa in grado di dare senso all’essere umano e alla sua esistenza. 
Cos’è allora La resurrezione necessaria?: «guarda ciò che hai lasciato» (p. 20), indica l’autrice, dunque un lascito esistenziale che rivive, ma sempre nel corpo di chi ama. Ciò che è stato nostro un tempo si preserva, resta tale dentro chi ha accolto l’amore, volente o nolente, e ha imparato ad assaporare con i gesti, gli sguardi, i pensieri che dalle cose quotidiane si generano. Una resurrezione necessaria per chi resta e sopravvive all’abbandono ricreando dentro sé una condizione spirituale solidissima, un microcosmo articolato che tenti di ricostruire il perduto dandogli un prosieguo. Ogni cosa è potenziale lascito, non c’è vera morte se dentro sé risorge e si preserva quell’amore che muove da ciò che si è amato in quanto parte di un’intima coscienza vitale e caratterizzante, qualcosa che potremmo definire anima. Essa è la protagonista tra le righe della silloge: «Se il pensiero di essere ha uno scheletro stesso / io non so se lo vorrò seppellire» (p. 21). Che sia lo scheletro stesso, l’impalcatura della carne, a essere anima? Nell’esigenza di conferire materialità all’Essere affinché qualcosa di noi resti, si vorrebbe superare l’esperienza della morte con il non seppellire, la testimonianza.
La memoria, l’immaginazione, lo scorrere della vita procura ancora pulsioni. È movimento dentro, è sentire l’altro nei centri “nevralgici” del proprio corpo: «Mi segno di morte l’indice, / per le mani del mio mondo tutto vivo, / che ogni mattina del risveglio riavverato / si uniscono le dita, fingendo siano, anche sempre, le stesse tue» (p. 33). Ed è sempre il corpo a tenere banco, anche nelle sensazioni più intime e taciute: «Non ti ho detto niente del mio mare. / Era diverso, erano spasimi di sale, / nel crescer la carne».
Affiora nei versi un sentimento di resistenza alla vita, ma al tempo stesso di amore perduto e incondizionato, come se alla fine fosse questa l’unica cosa a restare, pertanto la si dispensa fino a quando lo consentono le forze, fino a quando le energie vitali riescono a reggere il peso dell’esistenza. Lo so come avviene la consunzione è una testimonianza di questo struggimento necessario che lacera, ma appare necessario alla resurrezione. C’è un limite all’amore ed è la resistenza all’amore stesso, un atto vitale che consuma e Marina Marchesiello ne è ben consapevole: «So che devo bruciare / farmi più viva / anche di tutti i miei bianchi incendi / che io sempre ho nei sogni» (p. 78).
La resurrezione necessaria rappresenta un manuale dell’amore esistenziale, ha il sapore di un abbraccio lieve e disperato. Se ne avverte l’impeto, la forza, ma ciò che muove il tutto è un mondo invisibile fatto di sangue, arterie, cuore, carne e ossa. Il corpo è smottamento dell’anima per amore. La poesia esprime una voce fuori campo che sovrasta il dolore, riconnette l’assenza e la mancanza alla vita assimilando tutto come un finito necessario. Solo attraverso la corporeità si può durare e, successivamente, risorgere.

Lo so come avviene la consunzione
da commozione.
Con questa arsura di essere piante
vive e secche,
da balcone, a tarda sera.
Con radici biforcute
per riconoscere l’acqua nuova
nell’antica zolla.
Lo so come preme l’ascesi
del cuore alla testa.
Mentre si mangia un pezzo di pizza di ieri
e si contano gli assenti a tavola


improvvisamente presenti in bocca,
in uno spicchio di lingua
che tarda a dire tutti i loro nomi.
Per tenerseli stretti, a strisciare,
lungo le pareti di pancia

(lo sai che è lei che ricorda)
che mal digerisce ogni lutto.
Lo so come funziona
questo fluire di viole nelle vene
(lo sai che è il sangue il tuo fiore)
al pensiero.
Finché di nuovo ci si assopisce
con il rumore della lavatrice del vicino.
Vorrei dirmi certa
che il tempo è cambiato.
Un panno slavato, di fresco,
quello che ero.
Sarebbe ora pulito e asciutto
come un vecchio imbroglio,
quello di cui ho bisogno.

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