lunedì 31 ottobre 2016

Lorena Turri e la "metrica" del dolore

Lorena Turri
Di Giuseppe Cerbino

Solo nello spasmo del parto comprendiamo la tenuta del mondo: la sua vicenda di dolore e di esaltazione per la vita. Nel femminile è possibile riconoscere queste dinamiche; ecco perché, da questo punto di vista c'è molta sapienza in tanta poesia scritta da donne; il che non vuol dire che le donne sappiano di più ma vuol dire che il dolore delle donne ripete simbolicamente il mancare e il sorgere in questo strano mondo in cui ci troviamo a essere.

Nella poesia di Lorena Turri (Castelnuovo di Carfagnana - 1958) la “sapienza” è una costola strappata all'Adamo che non sa dire il suo dolore ma cerca il motivo di un vuoto. Si diventa sapienti solo calibrando il dolore di un “parto” già inscritto in una metafora soffocante. Tristezza è questa stanza,/svuotata di speranza/dove parola muta/muta in parola vuota, scrive la Turri in alcuni suoi versi.
Il dolore, in questa poetessa, funge da luogotenenza dell'essere; tutto è misura di esso che non può essere espunto senza rischiare una edulcorazione del reale. Ma non c'è “reale” senza la parola che per la Turri, nella sua migliore poesia, è solo la forma affiorante del disagio; poetare significa urlare, correggere lo strazio con un'ipotesi del sublime; ma questo non comporta l'attenuazione del dolore e della sofferenza. La poesia cambia loro la cognizione ma non la sostanza. Anzi la sostanza diventa palpabile solo nell'estro poetico. Alcuni versi sono esemplificativi di questa lettura: il dolore che trapela/non è un codice a barre/ottemperato a una penna ottica.
La cognizione del dolore, per usare un titolo di Gadda, è resa dalla parola che non si perde nei piagnistei o nel becero vittimismo delle denunce da femminicidio. 
Dolore quindi è parola tematica nella poesia di Lorena Turri che non ama momenti di “pausa”; non si concede alcunché di consolatorio nella totale reclusione. Ma sbaglieremmo se pensassimo a quella della Turri come a una poesia cupa e autocommiserante. C'è una precisione dello strazio accompagnata da una potente ironia che affranca dalla tentazione di cedere a un becero vittimismo che non si intravvede mai nemmeno nei versi più desolanti: La precedenza ogni volta ho concesso/alla regola fissa del dovere/così ad ogni stop/ho fermato anche il cuore. Sorprende la simmetria che con perizia struttura la versificazione mai zoppicante nell'esattezza di dover testimoniare una tensione.

Da un punto di vista formale parlare della poesia di Lorena Turri non è facile perché non permette una adeguata sintesi a causa della sua eterogeneità. La Turri infatti, attraversa tutti i generi della poesia italiana, dal sonetto, alla filastrocca, dal madrigale alla ballata; sempre con grande perizia e competenza e senza cedere a forme di puro sperimentalismo che si allontanino dal suo credo profondo, dal suo vissuto.
Tutte le espressioni poetiche di questa autrice, infatti, riconducono a una profonda ironia che da un lato pone in luce paradossi e contraddizioni e dall'altro sottolinea il senso di disagio vero che nel femminile si fa legge di una perenne crocifissione.
Non parliamo quindi soltanto di un puro talento alla Alda Merini, che pur nella sua devastante capacità di generale metafore, non sempre esprime competenza metrico-ritmica.

Attentissima alle risorse fonetiche e fonosemantiche. Turri dimostra un controllo sorprendente sulla totalità della parola: il suo significante, il suo significato, la capacità di essere coerente e allo stesso tempo contraddittoria- La sua è una poesia di grande precisione ma soprattutto di grande linearità che pur non diventando mai prosa, ammicca a essa per ricavare una chiarezza priva di cerebralismi. Questa poesia non lesina nulla: dalle espressioni più ricercate a quelle di uso comune fino ad arrivare a quelle considerate volgari, poiché nulla si deve perdere nella grande avventura poetica. La poesia salva il gretto e il divino in una unica soluzione ma sapendo che  non c'è espiazione se non quella che il tempo della lettura concede.


***


NON COLORE

Ed ecco un’altra sera che dispera,
dietro un umido vetro di squallore
asserragliata e dentro una bufera
di pensieri confusi. Non colore

di vita che non trova la maniera
di ricomporsi, immobile nelle ore
e negli spazi eterni di una sfera.
Non colore di un’anima che muore.

Non c’è consolazione, nessun senso,
né mai il significante, come il gesto.
Non colore in sostanza di condensa.

E dispera la sera sulla mensa
deserta di speranza. Buio pesto.
Anche oggi che è Natale, se ci penso.

***

QUESTA STANCHEZZA
Questa stanchezza, tristitia corrente,
che affonda nella carne e non demorde.
Scialle sfrangiato e liso sulle spalle
di vuote sensazioni, di passioni
per ciò che non esiste o è immaginato.
Stanchezza dilagante dentro l'anima
nell'infecondità dei desideri.
Vorresti un cielo terso e luminoso
e notti calme dopo giorni sorti
da aurore fervide e ditirosate;
vorresti l'armonia del tuttotondo
un canto d'usignolo, un sogno vivo.
Trascini invece l'ossa sonnolente
nei dirupi di un tempo senza mete
e non sei che lo sguardo scolorito
di un'ombra frantumata dalle nuvole.

***
CHIEDI DEL SUO MALE ATRO E FERINO

Se camminando in un bosco da sola,
troppo tempo ha perduto tra gli sterpi
e doloranti i piedi,
morsi da infide serpi,
di tutti i passi consunta ha la suola
e ora, questa che vedi,
è una donna distrutta, se non chiedi
pietoso, del suo male atro e ferino,
mai non potrai capire
il dolore nervino
che la relega - rea - sui marciapiedi
di una vita in languire.
Circostanze di eventi, come spire,
la condussero in vie tetre e insidiose
e lontana rimase
dai suoi fiori e le rose
nel petto cominciarono a sfiorire
dagli inverni pervase.
E fu un inerpicarsi su cimase
irte di spine e povere di senso
dove è perenne il vento
e acerbo lo scompenso.
Idee e parole le vennero rase
in un solo momento.
Compiutosi così l'annullamento
di un corpo e di una mente esuberante,
non un pensiero vola,
né il gesto si fa amante.
Non è lo sguardo limpido ed attento
e il pianto rompe in gola.

***

POCHE PAROLE SULLA MIA ANIMA

Di quest'anima mia
che posso dire?

Se ne fotte altamente
del mio patire.

A Lei non interessano
le brutte malattie,
le tasse da pagare,
le troppe umiliazioni, le ferite
e tutte le perse partite.

Se ne sta dove le pare:
nella goccia più piccola del sangue
oppure in un ventricolo del cuore;
nell'alluce sinistro,
nel colon o nel colore
dei miei capelli (il viola).

Mi lascia sola
persino nella vita (quella nera),
nell'antro oscuro dell'aspetta-e-spera.

Talvolta - senza chiedere il permesso -
altera m’aggredisce,
mi detta qualche verso assai imperfetto,
e poi sparisce.
***

NEL PECCATO NON COMMESSO

Sono albero e foglia
figlia fragile della mia maternità
colei che vive
nel peccato non commesso.
Dell'antica bugia so soltanto
che ha radici al centro della terra
dove il fuoco atavico riverbera sul mondo.
Delle stagioni vivo la neve e i temporali
e il frutteto in fiore dell'amore
in sintonia col vento.
Ardo nel frutto e nel succo mi spengo.
Dormo notti arcane
in controcanto onirico
abbracciata al mio mantra di pezza.
La chiarità del risveglio
non reca mai il tuo nome:
sei tu la sillaba mancante, il suono muto.
Quel vuoto astuto d'ogni mio big bang.


***

Tristezza è l’impresenza*
- simile alla tua assenza -
timpano di silenzio,
eco d’antico assenzio.
Tristezza è questa stanza,
svuotata di speranza,
dove parola muta
muta in parola vuota

***

CI SONO DONNE
Ci sono donne cosiddette vere.
La perfezione regna intorno a loro.
Almeno pare, o per sentito dire.
Coriacee. Pronte a tutte le intemperie
con i capelli a posto e così i conti.
Sempre belle da fare invidia al sole,
hanno un lavoro, figli, cani e gatti
e compagni di vita rispettosi
lungi dal dirsi appena un po' noiosi.
Mostri della logistica applicata
stanno coi tacchi in una linda casa
e al parco vanno in tuta con l'amica.
E nel momento della dipartita
con dignità salutano i parenti
ed escono di scena trionfanti.
Sono diamanti pieni di splendore.
Ed io che sono un fondo di bottiglia?
La vita passerò dietro a un fondale
poi a sipario chiuso da una quinta
con un guizzo maldestro uscirò fuori
ed agli astanti increduli rimasti
dirò: - Signori miei, ero l'autore!-

***

PRECE SBOLENFIA E LEPOREAMBA


O Tu, che su e quaggiù compi miracoli,
fa' che per tua bontà qua e là non specoli
colui per cui furono bui nei secoli
i tempi e sempre empi e scempi e ostacoli

addusse e poi distrusse e incusse a bacoli
terrori e orrori-e-orrori. Non trasecoli
l'Uno se l'importuno e aduno precoli
ma il mondo tondo è moribondo e ha macoli.

Aver dover è davver ammennicoli
divini e trini ai fini non da ciucoli,
ché, forti, i torti asporti e li sventricoli.

Io vivo e scrivo, privo, i miei versicoli
ma Tu, lassù, nel blu, odi i poetucoli
e fai che mai e mai il mal veicoli.

(Molte delle poesie di Lorena Turri sono edite nel suo libro "Leggi una donna" Kairòs editore)

2 commenti:

  1. Ottima la scelta delle poesie che sono un esempio della padronanza metrica di questa poetessa i cui lavori vanno dalla classicità del sonetto alla piacevole , dotta bizzarria della composizione sbolenfia e leporeamba ( ed a molto altro che per forza di spazio qui non poteva apparire). Lorena Turri ha una rara padronanza della metrica ed un bagaglio lessicale imponente; direi che la contraddistingue la dote incredibile del prestigiatore che dal suo magico cilindro tira fuori cose sempre nuove, che incantano e sorprendono. Tu leggi le poesie nelle quali penetri il suo dolore ed intravedi la sua vita ed ecco che lei tira fuori a sorpresa la poesia-gioco e ti porta dalla dimensione della pena o della riflessione a quella del divertimento, sì che tu scopri un altro volto e una persona capace di muoversi con pari disinvoltura in qualsiasi veste senza mai scadere dal buon gusto.

    RispondiElimina
  2. Direi che le poesie della Turri si contraddistinguono per un forte contenuto di idee, emozioni ed esternazioni di una donna con una grande personalità, forte e fragile al contempo, esaltante e triste, insomma molto variegata. La sua padronanza della forma le consente di poter applicare di volta in volta alla sua emozione il miglior strumento linguistico. E questo, in un panorama letterario moderno a volte scarno di strumenti letterari, è un aspetto di grande valore. Complimenti !
    Adele Libero

    RispondiElimina