Roberto Vecchioni |
In occasione di una
intervista televisiva, il cantautore Roberto Vecchioni ebbe a dire che
la poesia di oggi è prevalentemente autoreferenziale, criptica e di
conseguenza inaccessibile al grande pubblico. Secondo Vecchioni,
intervenendo sulla polemica circa l'assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Bob
Dylan, la parola non è solo scrittura ma mito che si è diffuso con
la voce. Questo è vero ma per quanto tale affermazione non possa
essere contestabile, bisogna tener conto altresì che non è scritto
da nessuna parte che il poeta debba essere, per così dire,
“popolare”. Io sostengo da sempre che il tumore della poesia è
la pretesa ad essere letta. Ed è una pretesa tanto ambiziosa quanto
pericolosa per la poesia stessa. E' una situazione limite che
testimonia il fascino e il paradosso di questa forma espressiva tanto
esaltata quanto commiserata come il sintomo di chi non sa scrivere.
Basti leggere interventi come quelli di Alfonso Berardinelli per
avere conoscenza dell'opinione della critica nei confronti della
poesia contemporanea. Il punto è che se non si sa più scrivere è
perché alla scrittura, alla letteratura in generale non si riesce
più a chiedere nulla; non si riesce a chiedere che valore deve
essere invocato per uscire dal pantano in cui ormai ci troviamo. La
poesia, soprattutto quella dell'ultimo secolo, per non parlare di
quella contemporanea, crea il senso del pantano, ci e si aiuta
attraverso la parola a navigarci, a intravvedere un sacro anche nella
melma.
Ma la vera domanda è: se
non può essere letta in quanto criptica, autoreferenziale,
inaccessibile, perché la poesia pretende di farsi pubblica? La
risposta alla domanda è suggerita dalla domanda stessa; la poesia
pretende di farsi pubblica proprio perché criptica autoreferenziale,
inaccessibile. Questo aspetto non può essere trascurato; troppo
facile pubblicare ciò che è comune e accessibile; la differenza tra
la canzone e la poesia si intercetta bene tutta in questo snodo: il
cantautore parla di sentimenti alla portata di tutti che molto spesso
non sono alla portata del cantautore. Quindi attraverso la musica la
parola si farebbe più potente più capillare. Ma qui si dimentica un
aspetto fondamentale: la parola in musica poco potrebbe fare oggi
senza gli strumenti di riproduzione vocale che ci consentono di
ascoltare un disco ad esempio.
Oltretutto se è vero che
il cantautore arriva prima è anche perché la canzone esonera
dalla lettura che è sempre faticosa; tale fatica comporta quella di
entrare nel mondo altrui un mondo che non saremo mai in grado di
capire. Il poeta è lo scrittore che più di altri è consapevole di
ciò, sa benissimo che il suo mondo è impenetrabile ma allo stesso
tempo unico e solo la parola che è di tutti è in grado di porre
un ponte. La poesia non cede alle lusinghe della semplificazione
della vita, o meglio non cede al tentativo di poterla semplificare;
il poeta sa che questi tentativi sono fallimentari già dal loro
sorgere. La vita è un intreccio problematico e il modo per
comprenderlo è far emergere la metafora che lo regge; molto spesso
questo impegno paga il dazio di una incomprensibilità di fondo ma
apre nuove opportunità di incontri vitali. Il poeta vive la vita di
tutti, diceva Saba ma sa che nella propria c'è sempre qualcosa di
unico da preservare e custodire. E' inevitabile che in questo
percorso, il poeta sia autoreferenziale.
Detto questo, le
considerazioni di Vecchioni ci aiutano a riflettere su un aspetto
nevralgico che riguarda non solo la poesia ma letteratura in
generale. Vecchioni dice che la parola non è solo scrittura ma
occorre capire che la scrittura salva la parola dal suo disfacimento
vocale, dalla sua precarietà, dal suo essere sempre instabile e
provvisoria; la scrittura svela la potenza della parola e la svela
alla parola stessa rendendola indipendente dal parlante. La parola,
grazie alla scrittura, diventa autonoma in tutto e per tutto. Se non
capiamo questo, se non comprendiamo che lettura e scrittura sono
impegni faticosi, non saremo mai in grado di capire il compito della
poesia oggi. Altro che canzonette da quattro soldi che dicono sempre
le stesse cose, parlano degli stessi disagi e delle stesse difficoltà
umane. La poesia è accadimento dell'essere e questo non sempre è
qualcosa che è vocato ad essere decifrato nei nostri parametri. Si
intravvede qui una educazione alla parola piuttosto l'educazione
della parola. Non è necessario scomodare Heidegger e il suo epigono
più stretto Gadamer per dire che il linguaggio è uno stato di cose
in cui l'uomo è coinvolto suo malgrado e questo il poeta lo sa e per
testimoniarlo ricorre a un linguaggio che non può essere piegato alla
semplificazione dei sentimenti, delle teorie sociologiche o
scientifiche.
Al poeta non importa che
a San Siro le luci non si accenderanno più; al poeta importa
illuminare il porto con un canto. E questo è sempre autoreferenziale
criptico ma sempre e dico sempre la più grande magnifica avventura
che la parola ci concede. In un'epoca di desertificazione dei valori
per la quale non vedo rimedio, il poeta non può farsi portatore di
nessun ideale, ce lo ha detto il poeta Sbarbaro: “nel deserto
guardo con asciutti occhi me stesso”; il pianto del poeta è un
“pianto che non si vede” (Ungaretti) e se non si vede non si può
nemmeno condividere. Il poeta non fa altro che accrescere di senso
una realtà misera; che lo faccia solo per sé o anche per chi vuol
leggerlo, è davvero poco importante. Dice il poeta Caccamo: “il
poeta è di marmo e non è mai sul punto di morire”. Resistere a
ogni prevaricazione e a ogni violenza significa negare la morte; la
poesia non è un ornamento che copre la vergogna di non sopportarla
ma è l'entusiasmo di vivere nonostante tutto. Questo vuol dire
essere autoreferenziali e criptici? Può darsi! Partendo da alcune
affermazioni di Giorgio Caproni possiamo dire che l'autobiografia è
il punto di partenza del poeta; che questo comporti descrivere anche
la vita degli altri il poeta non è in grado di stabilirlo in maniera
programmata e artificiosa; egli non può pretendere di dire qualcosa
degli a sugli altri; ma è consapevole che la vita umana non può
rimanere che un segreto.
Analisi molto interessante, utile per la riflessione, soprattutto per chi scrive
RispondiEliminaGrazie :-)
EliminaCaro Giuseppe, la tua analisi è interessante e provocatoria. Io non concordo quasi in niente sulla definizione e funzione del poeta...in particolare sul 'criptico': la prima funzione della parola è comunicare; la mia prima esigenza come poeta è esprimermi per comunicare con gi altri, tutti, attraverso l'emozione. Non mi ritengo superiore agli altri per le mie emozioni, ma per la mia capacità di usare la parola e servirmene per comunicare con loro. Quanto alle canzonette: magari sapessi usare la musica per quello che scrivo!
EliminaChissà perché ogni coppia ha la propria canzone (parlo della musica, non delle parole)! Certo l'arte della parola è la più difficile delle arti, la più faticosa nel raggiungere lo stesso scopo di comunicare, e più in basso, più a livello'popolare' si arriva, meglio è.
Grazie per questa analisi che condivido dalla prima all'ultima parola. Scrivo poesie non so più da quale età e spesso mi sono sentita e ancora mi sento dire che sono criptica. Non me ne sono mai preoccupata e, attraverso percorsi plurimi, ho continuato la mia strada. Noto adesso che sempre di più chi legge le mie "poesie" poi le rilegge e le rilegge ancora e pone domande e si aprono piccoli dibattiti. - Poesia che fa pensare - dicono. Ho quasi sessantasette non mi sono mai sentita sul punto di morire né ho sentito morire nessuno perché racchiudo vita e morte nella poesia che sa sbeffeggiare l'una e l'altra e viceversa. Un insieme complesso e semplice, come la natura, del resto. ha senso, non ha senso. importante è proseguire finché esiste un atomo. Vorrei proseguire all'infinito, parlare di parola, di silenzio e d'altro ancora. Di tempo, anche, ma una cosa ancora sola dico: la poesia è un talento, o ce l'hai o non ce l'hai. Il resto chi scrive lo sa. Grazie, se hai letto fino in fondo.
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