Di Giangiacomo Amoretti
La
poesia di Andrea Casoli esemplifica bene i caratteri di quella che è stata
definita, nell’ambito della poesia del Novecento, “linea
crepuscolare”: quella linea, cioè, che partendo da Pascoli, da
Gozzano e dai crepuscolari, si è sviluppata, fino alla fine del
secolo, al di fuori dell’ermetismo, da una parte, e dei più
recenti sperimentalismi neoavanguardistici dall’altra. L’attenzione
rivolta ai fatti minimi della vita quotidiana e alle emozioni più
semplici, ma anche più sottili e più fini; un realismo appena
accennato; un lirismo corretto spesso dall’ironia: sono questi gli
elementi del “crepuscolarismo” casoliano, cui si aggiunge, a
segnarlo in modo inconfondibile, una perizia metrica assolutamente
non comune.
Che non porta certo al recupero di forme metriche desuete (benché il gusto per lo schema difficile non manchi: basta pensare a una lirica come Il tempo, dove le rime dei versi pari di ogni quartina si ripetono puntualmente nei versi dispari della quartina successiva), ma bensì ad un utilizzo regolare di alcuni versi della nostra tradizione – in primis l’endecasillabo, ma anche, fra gli altri, il novenario dattilico e il decasillabo anapestico, entrambi, non a caso, largamente usati da Pascoli, che resta una delle presenze più evidenti nella poesia di Casoli – e a uno sfruttamento abilissimo della rima, alternata spesso – qui il riferimento potrebbe essere forse Montale – all’assonanza e alla consonanza.
Che non porta certo al recupero di forme metriche desuete (benché il gusto per lo schema difficile non manchi: basta pensare a una lirica come Il tempo, dove le rime dei versi pari di ogni quartina si ripetono puntualmente nei versi dispari della quartina successiva), ma bensì ad un utilizzo regolare di alcuni versi della nostra tradizione – in primis l’endecasillabo, ma anche, fra gli altri, il novenario dattilico e il decasillabo anapestico, entrambi, non a caso, largamente usati da Pascoli, che resta una delle presenze più evidenti nella poesia di Casoli – e a uno sfruttamento abilissimo della rima, alternata spesso – qui il riferimento potrebbe essere forse Montale – all’assonanza e alla consonanza.
Sono
in genere testi molto brevi, caratterizzati da una rarefatta lievità
ritmico-musicale che ha tutta l’apparenza della naturalezza
espressiva, ma nasconde in sé un’intensità lirica talora
profondissima. Ogni parola è calibrata in modo preciso in modo da
armonizzarsi con le altre, in una quasi perfetta fusione di forma e
di significato. Una poesia, insomma, che merita non soltanto di
essere letta e “goduta”, ma anche – perché no? – di essere
attentamente studiata nei suoi meccanismi formali e nelle sue
raffinatissime soluzioni metriche.
°°°
°°°
Ogni tanto mi fermo
ad attendere un passo di danza
e ti cerco
come musica lieve di un giorno
e rimpiango
di non essere nota o strumento
per averti all’istante.
Ogni tanto mi fermo
e se tocchi le corde di un sogno
io mi sveglio
e ti sento qui accanto
dentro brividi lenti ed eterni.
Ogni tanto ti fermi
e restiamo abbracciati nei giorni
***
ad attendere un passo di danza
e ti cerco
come musica lieve di un giorno
e rimpiango
di non essere nota o strumento
per averti all’istante.
Ogni tanto mi fermo
e se tocchi le corde di un sogno
io mi sveglio
e ti sento qui accanto
dentro brividi lenti ed eterni.
Ogni tanto ti fermi
e restiamo abbracciati nei giorni
***
E TUTTO QUELLO
Adesso è il vento
a voltarmi le pagine non scritte.
Mi eclisso un poco
dietro le lune che già mi mancano
e come il sole non cambio posto.
C’era il tuo nome ovunque
dentro al nostro romanzo senza inchiostro
e tutto quello che non ti ho chiesto.
Ovviamente ringrazio il Professor Amoretti per questa bellissima recensione!
RispondiEliminaIo ho poco da dire. Temo che le mie parole non riescano a esprimere il valore di quest'opera. Manifesto solo la mia soddisfazione ogni volta che vedo arrivare qualcosa di importante, e queste poesie lo sono veramente.
RispondiEliminaGrazie Giovanni!!
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