martedì 30 ottobre 2018

Il Viaggio salvatico di Gianpaolo Mastropasqua



                                                                                                                        di Pasquale Lucio Losavio
Gianpaolo Mastropasqua

Viaggio salvatico è un’Opera. Lo è perché è il risultato di un percorso, di una lunga sedimentazione, esistenziale e letteraria, è la conclusione di un discorso interiore cominciato molto tempo fa e che ha portato Gianpaolo Mastropasqua, appunto, all’Opera. Il Viaggio salvatico (Fallone editore, 2018) è un’Opera per stabilità, compattezza, equilibrio fra materia e forma; è l’Opera di Gianpaolo Mastropasqua perché dice una parola conclusiva in questa fase della sua evoluzione letteraria. E Gianpaolo Mastropasqua è un poeta, un vero poeta. Non solo dal punto di vista sostanziale e di stile di vita ma, anche e soprattutto, dal punto di vista formale. Molto spesso si trascura l’aspetto tecnico della poesia, a favore della creatività, di quella che viene chiamata ‘ispirazione’. C’è in Mastropasqua una limpidezza formale, una ricchezza lessicale, una costruzione ritmica, musicale del verso che tradisce la sua formazione di musikosaner. Delle quattro armonie greche, la lidia, la frigia, la jonica e la dorica, è proprio questa ultima che sembra propria di Mastropasqua. La dorica è la musicalità tipica dell’eroe, che accompagna le vicende epiche, che sottolinea il coraggio come virtù. E, in questo senso, è rivelativo il titolo scelto per questa opera: Viaggio salvatico.
Il tema del viaggio è il tema inaugurale della letteratura occidentale, dall’Odissea in poi, tutta la letteratura si configura come un viaggio, come la metafora del viaggio. E di un viaggio particolare: il viaggio iniziatico che l’aggettivo ‘salvatico’ suggerisce. ‘Salvatico’, infatti, evoca il tema della salvezza, una soteriologia; evoca il tema di un viaggio per il quale si parte fuggendo da qualcosa, da un pericolo, da se stessi, da un luogo, per salvarsi, per ritrovare il proprio nome, per ritrovare se stessi. Ritrovare la casa dell’Essere, la patria perduta, un nuovo se stesso, attraverso le peripezie del viaggio e del mondo. Come l’iniziazione agli antichi misteri o nei riti primitivi di passaggio, è un percorso che porta l’individuo incontro al mistero, all’ignoto. Attraverso la rivelazione di un segreto l’uomo muore e rinasce. L’individuo si trasforma, attraverso l’iniziazione, diventa un uomo nuovo. Nella letteratura l’eroe subisce una metamorfosi attraverso le peripezie del viaggio iniziatico. L’Odissea di Omero, la Divina commedia di Dante, sono prototipi del viaggio iniziatico, ma tutta la letteratura lo è. I testi ripercorrono uno schema ricorrente che vede una partenza, una serie di peripezie e infine, se gli Dei lo concedono, il ritorno. Quindi si abbandona la propria patria e si parte per un viaggio verso l’ignoto, il mistero. Anche Mastropasqua è un viaggiatore, di luoghi e di testi, che abbandona la propria terra, ma ne sente costantemente il legame e la nostalgia, come rivelano i suoi versi. Mastropasqua si introduce e ci introduce in un mondo straordinario, il mondo della poesia, il mondo delle parole. Novello Don Chisciotte, vive avventure e pericoli nello spazio metaforico del foglio e del linguaggio. Fino al momento del ritorno, in cui, acquietata l’inquietudine può, attraverso il labirinto delle parole, dare un senso all’esistenza, che è lo stesso che dare una forma al linguaggio, costruire una patria con le parole, dare un senso al pensiero e al discorso. Testimoniare, come il filosofo che ritorna fra i compagni, nella caverna, la conquistata verità. Per questo, l’opera di Mastropasqua è un viaggio iniziatico che si inserisce, a pieno titolo, nella tradizione della letteratura occidentale.

***

Mediterranea
Quando eravamo dèi e camminavamo con gli alberi
e le vesti erano anime e animali vivi
e ancora festeggiavamo i compleanni delle nuvole
e all’ora danzavamo sulle acque come anemoni
e chiamavamo Israele la neve del deserto
e l’arcangelo bambino affacciato sull’abisso
e le sorgenti cantavano dai mari alla fonte
e le foglie erano velieri e lingue all’unisono
e i rami ponti trascendenti della luce
e l’impossibile mostro era libero di amare
e ogni passo un sapore e un nome pedante
e le caverne erano occhi appena aperti sull’ignoto
e le pietre dialogavano nel concentrico giorno
ora che passeggiamo senza gambe strisciando
tra la folla calpestata dal silenzio assassino
e le feste nucleari ci attendono al varco
e sogniamo a brandelli tra i respiri delle bombe
e chiamiamo vita eroica l’abbraccio del piombo
e le pietre sono masse che lapidano al pascolo
e le foglie e gli alberi hanno finito la primavera
e il mare dalla lingua di petrolio più non parla
e le lucciole sono nere e il gabbiano viene corvo
e il becco una lamalenta che vibra che penetra
e logora la fauna che affolla in cadaveri pensieri
e l’impossibile mostro è già in gabbia da tempo
e i pugni si combattono nell’aria sanguinaria
e le cave hanno il profumo delle fosse comuni
e ogni passo è una palude da cui uscire vivi
procediamo non siamo nessuno sa perché dormiamo.
***

Marilyn la stanza a Norma

Benché nel nome transitasse sin dagli albori il germe
della tragedia, tu non potevi che intera splendere
nella costellazione delle regine che non esiste
in quest’aria dove il canto di Maria trasporta i cieli
e un poeta piange Dio nel baratro di un verso,
ma tu non hai ucciso per amore nessun figlio:
siano esonerate le generazioni dei padri
che consegnarono alla tua immagine il primo seme
dell’adolescenza, in quell’arcaico moto di gratitudine.
Chanel numero cinque il tuo quinto potere, una
goccia in cui tutti avrebbero desiderato vivere
o dormire, circondarsi, farsi grandi, presidenti,
sognatori non vedenti, barbiturici o tamerici.
Benché il cinematografico dio da marciapiede
ti scritturasse frivola e ventilata, tu scrivevi
nei diari invisibili versi tristi come la memoria
sola come il sole nella solitudine dei soli.
Ma tu non sei più nel bronzo decimato d’agosto
né avvolta nella seta sottomessa della fine
ora abiti tra i colori atlantidei di Warhol
e i musei del mare che dal profondo ridono.

Pasquale Lucio Losavio è nato a Massafra (TA), città dove ha scelto di vivere. E' laureato in filosofia ed è docente nei licei. Ha pubblicato nel 2005 il volumetto Nihil per le edizioni di Kalliope, nel 2008 per Lupo Editore la raccolta di poesie Della visione e dell'ombra, nel 2014 per LietoColle Il vuoto bianco e ancora Per LietoColle nel 2018 Nell'imperfezione sincera dei tuoi occhi. E' uno dei vincitori della prima edizione del premio Pound

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