venerdì 9 novembre 2018

SULLA POESIA E LE SUE NUOVE FORME

Di Alessandro Sebastiano Porto 

Alda Merinì
La poesia italiana procede oggi secondo diverse e cristallizzate direttive, tutte, non l’una meno dell’altra, chiuse e strette nel proprio stesso cerchio. Ne parlo, perché ho la fortuna di conoscere moltissimi versificatori che si muovono tra le varie correnti che la lirica nostrana oggi offre, taluni li conosco personalmente ed altri solo attraverso lo schermo. Essendo solito aggiungere su Facebook ogni qualuno produca qualcosa, specie se si tratti di poesia, e di consumare ferocemente ogni volume che appare nello scaffale dedicato nelle librerie, posso dire di conoscere e muovermi tra tutti quanti questi stili osservabili e riconoscibili. Questo poiché, senza pregiudizio alcuno, bisogna vedere e conoscere ogni forma, così da riconoscere quelle alle quali si ci vuole accostare e quelle dalle quali si ritiene sia meglio partirsi. Faccio quindi questo lavoro qui, come fosse una lettera aperta o semplicemente pubblica, rendendo noti a tutti i veterani o i neofiti dell’arte della penna quelle cose che in questi anni ho visto ed ho imparato e che sono state commentate anche in grande parte da personaggi autorevoli e testate giornalistiche di notevole impatto. I nomi che seguono non vogliono avere alcuno scopo pubblicitario, ma citare semplicemente quali siano i principali e degni di nota autori di una e dell’altra forma.

Esiste la poesia nata sui social network e che proprio in queste piattaforme prende piede, si sviluppa e perisce. Accenno a questa molto brevemente, così che non si perda tempo nel parlare di qualcosa che pare quasi fuori dal tema stesso di cui qui si tratta. Questa poesia, di cui voci rappresentative nel nostro paese sono Francesco Sole e Gio Evan, anche se fenomeno nazionale è divenuta anche quell’una oltreoceano, Rupi Kaur, è sostanzialmente una misera produzione finalizzata alla condivisione via social. Per intenderci, il suo spessore è tale, che impostando un algoritmo per la composizione di versi, ne uscirebbero di simili, se non identici, a quelli scritti da quegli autori sopracitati. Alcuni poeti delle categorie che andremo ad elencare fanno poi ricorso alle stesse forme qui dette, ma esclusivamente per tentare di intercettare un pubblico più ampio, che possa appassionarsi facilmente a questi versucoli, per poi addentrarsi in scritture ben più importanti. Di questi si può dire questo e non racconto altro.
Tra la poesia che possa essere chiamata tale vi è poi quella rappresentata dallo stuolo di rimatori -ammesso che di rime ne facciano- che affolla i gruppi e le pagine di Facebook, Instagram e Twitter e dei quali posso dire che una piacevole scoperta è stata Beatrice Orsini, la cui mescolanza con altre arti ne ha fatto polo di attenzione un po’ per tutti ed è in grado di produrre versi dissimili da quelli di altri suoi compagni. 
Pur discostandosi da quella lirica di cui ho fatto breve menzione in precedenza, parte quest’altra sostanzialmente dai medesimi presupposti: una manciata di versi, brevi e poco curati, privi di suono e di ritmo, ma che hanno in virtù il tentativo di dire qualcosa o comunicare sensazioni, cosa a cui la poesia di sopra non aspira neppure, facilmente ricondivisibile dall’affamato pubblico social. Il tentativo di questi novelli musici è quello di imitare una ben più radicata tradizione italiana, ossia quella del verso libero, ma scadendo nell’estremo opposto a quello a cui si fa riferimento e di cui parleremo poco sotto. Se il versificare di Ungaretti ha aperto definitivamente la strada al metro rotto, considerato elemento innovativo e rivoluzionario, esiste invece ora tutta un’intera corrente, che direi accademica, la quale ha trovato in Alda Merini e nel suo “genio libero” il proprio modello, ignorando l’eccezionalità di Alda e ignorando di non essere Merini. Questa poesia di cui sto ora parlando, si nutre di termini colti ed eclettici e si appoggia sui temi che più spesso e facilmente arrivano ai cuori delle persone e ne bagnano gli occhi di lacrime. Una poesia, questa, fatta di sensazioni, una sorta di imagismo nostrano ritrovato, chiuso tuttavia nella propria stretta cerchia di lettori, spesso annoiati dai propri stessi colleghi di penna.

La poesia del secondo tipo, che da questa si parte e si dirama e di cui ho fatto prima un nome, cerca la medesima legittimazione di quegli autori che Einaudi e Interno Poesia pubblicano, ma che hanno ben altra formazione ed intenzione. Il verso libero è accomunabile in poesia a quello che la musica elettronica rappresenta per la musica, ossia una deviazione in senso democratico dell’arte, accessibile a tutti, producibile da tutti, ma banalizzata e volgarizzata.
Veniamo a quella poesia che viene detta d’autore e che riempie le riviste dedicate ed è citata nelle università. Questa è la poesia del circolo letterario, una poesia colta e pedante, in grado di raggiungere pochi, non per l’esclusività metrica o contenutistica, ma per lo sfoggio di retorica ed arcaismi. La poesia di questo genere, la poesia postmoderna, si affida ad un’ipotetica superiorità del concetto alla forma, per giustificare l’assenza di suoni e melodia nei propri versi, appoggiandosi esclusivamente alle immagini, spesso ridicole, forzate ed incomunicative. Tra gli autori di questa corrente ve ne sono però alcuni che spiccano, quei pochi che fanno come quel che Manzoni riconobbe fatto dal Parini: “Se il poeta non sa adattare lo stile e il suono dello Sciolto alla materia, se non è fecondo d'immagini, se non sa trovare da sé quello che la rima gli avrebbe suggerito, il suo Sciolto sarà certamente peggiore d'una Ode rimata, che manchi in egual grado delle altre virtù poetiche. Il Parini è sommo Scrittore di versi sciolti perché le aveva tutte.” Pietro Romano è sommo scrittore, perché le possiede tutte, così come potremmo dire di Pierluigi Cappello, prematuramente dipartito in più alte sfere.
Annoveriamo poi il PoetrySlam, di cui si è tanto parlato negli ultimi giorni e che ha prodotto molti nomi di fama non indifferente, di cui Guido Catalano, Alessandro BurbankCiccio RigoliDome Bulfaro, Lello Voce e molti ancora. Per quanto organizzatori e partecipanti siano restii ad ammetterlo, lo Slammer sta divenendo una vera e propria figura artistica, forse separata da quella del poeta. La poesia presentata attraverso lo slam, date le modalità di esecuzione dell’evento, è divenuta una produzione “di pancia”, destinata al pubblico, appetibile al pubblico nelle forme e nei contenuti. Come evidenziato da Rosaria Rosi Lo Russo su un post su Facebook, ripreso poi in un articolo apparso su POESIANELNOSTROTEMPO, l’ambiente del PoetrySlam si è rapidamente accartocciato, cristallizzato, intorno a quei nomi che ne hanno fatto la storia e che dettano legge, autoalimentando il proprio fuoco e il proprio ego, divenendo piccole stelle di un piccolo mondo senza cognizione estetica né storica. Riporto una frase tratta proprio dal suddetto articolo: “il format è utile ai giovani per confrontarsi, meditare sulla tenuta della propria poesia come fatto orale di fronte a un pubblico, ma nulla più. Nulla più perché l’aleatorietà del format è evidente, anche quando alla base c’è una buona selezione di poeti. Lo sanno tutti, in tutto il mondo, e non ha senso nemmeno perdere tempo per comprendere se il vincitore di uno slam sia immortale.” Nel PoetrySlam non esiste un genere, ma uno stile predominante, e per stile intendo modo di porsi e di approcciarsi al pubblico, che rende il fulcro della poesia non la parola, ma il portamento o il nome dell’artista. La stupenda promozione e rivalutazione dell’oralità che la LIPS ha portato avanti, ha però permesso a molte voci, definibili vere e proprie avanguardie di cui far vanto, di emergere e controbilanciare le spinte narcisiste che gravano sullo slam e tra queste voci nomino apertamente Simone Savogin e Sergio Garau, presidente della LIPS, i quali ho avuto modo di conoscere personalmente e il cui impegno artistico va ben oltre quello della competizione poetica similcabaret.
Esiste la poesia poi quella eccellente, ossia quella orale e performativa, capace di non perdere il rapporto con la tradizione o con il valore sonoro della parola, anche in relazione alle altre arti. Questa poesia spesso è partita dagli stilemi riportati di sopra, ma da questi si è discostata e si è evoluta in nuove e tante forme, spesso commistioni con altri generi, quali il teatro e la musica, capisaldi appunto dell’oralità. Rincuorante è vedere queste esperienze partire proprio dalla nuova generazione di poeti, che è riuscita, lanciandosi dai trampolini preesistenti, a ritagliarsi nuovi spazi e crearsi nuove vie. Tra i nomi fondamentali ricordo Emanuele Ingrosso, con il progetto Sagome di Sabbia, Francesco Malavasi, tra i più attivi protagonisti del ModenaCityRimers e Gabriele Ratano, parimenti impegnato nella poesia e nella musica.

                                                                                                                 Alessandro Sebastiano Porto


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