giovedì 3 settembre 2020

Recensione ad "In canto a te", raccolta di Lucianna Argentino, (Samuele editore, 2019)

 


“Ha occhi verdi, ardenti, un’omelia indecente

alla mia fuga tra i pori della sua sostanza.

Ha sembianza di siepe, ma a volte

diviene un sicomoro e dalla sue spalle io

abbraccio Dio.”

Quell'amore, non qualche amore, che resta, impiantato nel ventre dalla sua nascita. Per causa, non per caso. L'amore che ruota e ritorna perché è entità naturalmente formata e che segue armonicamente il suo ellittico cammino. Non è mai andato via, è sfuggito per reggersi e non morire, per la redenzione dei corpi che non vivono senza avvinghiarsi. Un amore che si allinea al senso di grazia, cosciente del suo limite corporale, inesorabilmente valicato e strappato, dal desiderio vissuto senza pentimento.

“Non mi pento e non mi dolgo

del puro peccato commesso

tra le sue gambe di maschio

capace di farmi tenera e audace

-mai docile sotto l’aspersorio

con cui benedice e lacera

la passione che di lui avvince me

che dal suo corpo torno

come il grano dopo la trebbiatura.”

È presente un linguaggio dai toni religiosi, l'unico veramente degno di descrivere l'amore e una rara e canonica poetica d’autore. È consuetudine letteraria affermare che chi strappa non ama, ma non sono l'abbraccio, il bacio a lungo agognati, ad un passo dallo sfinimento temporale e dalla resa, lo strappo alla disfacente distanza fra i veri amanti? Strappare è crisi, criticità, decidere, prendere... e ancora, lasciarsi e lasciare andare, affrancarsi ed inevitabilmente perdersi e forse un giorno, dopo infinite preghiere, ritrovarsi, con gli odori di un tempo addosso dei corpi vicendevolmente strappati. Del resto, custodita la radice, il seme dell'amore non teme di ricrescere nella propria siepe.

Carolina Montuori

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