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Anna Maria Ortese negli ultimi anni della sua vita |
Di Carla Cenci
[SECONDA PARTE - Leggi la prima parte]
Che per la Ortese la poesia precedesse spesso la scrittura in prosa indica allora quanto la minore ricercatezza formale del verso e la sua chiara immediatezza fossero il segno di una preoccupazione preminentemente morale, nell'ottica di un impegno radicale con la vita umana. La prosa avrebbe poi intrapreso la strada che le compete, con un prodotto dal valore artistico più articolato, veicolante un intreccio complesso dei contenuti, in cui colpisce, all'interno della prediletta dialettica realtà-irrealtà, la costante ossimorica delle situazioni:
«Miriadi sono le cose incompiute [...]. Vi è una verità di cose incompiute, degradate — o Umanità, o Realtà, o triste Bellezza! — dove più o meno tutto confluisce».14 Questo ne Il cappello piumato. Ma basti per tutto la sintesi descrittiva del Conte D'Orgaz, maestro di 'espressività' della ragazza Damasa: «Tutto, in questo giovane, era antica assoluta perfezione, e un interiore silenzio, e una dolcezza nata da cose inesorabili. Egli era come la morte quando giunge tra i fiori».15 L'ossimoro impronta dinamicamente di sé tutti i particolari del reale, l'essere nella sua essenza, e la Ortese ne fa il cardine strutturale dell'opera letteraria, spesso fatta di ritorni che sono in realtà lontananze e di svelamenti che sono invece nuovi sigilli del mistero, manifestando in tal modo una precisa intuizione metafisica.