martedì 20 settembre 2016

Andrea Zanzotto e la tradizione vivificante


Andrea Zanzotto
Di Leonardo Tonini

Andrea Zanzotto (1921-2011), nell’ipersonetto, punto centrale e cardine del suo Il galateo in bosco, del 1968, tenta l'esperimento decisamente ardito di vedere quanto sia possibile adattare nel mondo contemporaneo la classicità e quanto questa sia ancora soprattutto fonte di significato e possibile chiave di lettura del presente.
Prende quindi la forma più adusa delle letteratura italiana (ossia il sonetto) e congegna, proprio all’interno del suo libro più sperimentale, un capolavoro di rimandi interni alla stessa costruzione dell’ipersonetto e esterni a tutta la tradizione della poesia italiana, dalle origini al contemporaneo. L’apparente difficoltà di lettura è data appunto da questa ipersignificazione, che porta la densità di scrittura a un livello che è esso stesso metafora della scrittura. Ma andiamo con ordine.

La tradizione letteraria si è presentata negli ultimi decenni come: «congestionato cimitero di rottami - griglie interpretative saltate, teoremi scoppiati in aporie, definizioni perdutesi in sabbie, fraseggi in lingue la cui chiave è stata gettata»[1] e viene dai più sentita come monumento, conosciuta a livello scolastico, anche universitario, ma come abbellimento alla storia patria, sepolcro, come oggetto di devozione, ma incapace di interpretare il contemporaneo o di fungere da guida. Vi sono poeti, dice ancora Zanzotto, che si misurano con la tradizione, e traggono il nuovo da una lotta con il passato, un confronto che il poeta di Pieve di Soligo definisce nevrotizzato[2], ma nessuno che prenda il corpus della tradizione letteraria italiana e provi a vedere fino a che punto davvero essa possa uscire dalla monumentalità e essere lingua, intesa come strumento per decrittare il mondo e per farne una rappresentazione spendibile, un agire.

Su questo tentativo, nell’ipersonetto si stratificano altre volontà che troviamo nel Galateo in bosco in particolare e in maniera più sfumata nel lavoro di Zanzotto. Il bosco, appunto, come esplosione di vita e di complessità proteiforme che la vita, specialmente vegetale, porta con sé. Il sentiero degli ossari, nel doppio significante di memoria della guerra (c’è appunto presso Pieve di Soligo la Linea degli Ossari, nel Montello) e della crosta terrestre (la faglia Periadriatica, altra fonte di ricerca del nostro); oltreché intendere la tradizione letteraria come ossario delle intenzioni degli uomini, resti fossili di altre volontà di vita. La lingua è una  serpe che si divincola tra significato e significante, che vuole dire e non dice abbastanza e al contempo si tradisce; e l’andatura stessa della scrittura dei testi, serpeggia tra i molteplici rimandi letterari e i molteplici livelli di lettura. Il raschiamento del significato per mettere a nudo la parola, anche attraverso la lingua balbettante[3] dei bambini (petel) e dei vecchi (dialetto). Il tutto al fine di stabilire, o provare se è possibile oggi stabilire, le norme per un futuro approccio all’utilizzo della tradizione poetica – bene sapendo, Zanzotto, che la funzione della poesia è ancora e sempre la poiesis, la creazione di immaginario, non quella di descrivere, ma di rendere visibile.

Non essendo questa la sede per una analisi puntuale dell’ipersonetto[4], voglio proporre una parafrasi del primo sonetto, che segue quello chiamato Premessa di questo libro nel libro formato da 14 sonetti (uno per ogni verso) più due (in apertura e in chiusura).






I
(Sonetto di grifi e ife e fili)


Traessi dalla terra io in mille grifi
minimi e in unghie birbe le ife e i fili
di nervi spenti, i sedimenti vili
del rito, voglie così come schifi;

manovrando l’invito occhial scientifico
e al di là d’esso in viste più sottili,
da lincee linee traessi gli stili
per congegnare il galateo mirifico

onde, minuzie rïarse da morte
– corimbi a greggia, ombre dive, erme fronde –,
risorgeste per dirci e nomi e forme:

rovesciati gli stomaci, le immonde
fauci divaricate, la coorte
dei denti diroccata: ecco le norme.


Si tratta di un unico periodo che in estrema sintesi vuole dire: io, manovrando con sguardo scientifico, traggo dalla terra i sedimenti e, al di là di essi, gli stili per congegnar il galateo mirifico da cui (come ombre e corimbi) e dopo un lavoro di distruzione (fauci divaricate, la coorte dei denti diroccata), mi vengono presentate le norme.

Per fare un solo esempio di cosa intende Zanzotto per uso della tradizione, si può vedere come nel primo verso compaia la parola grifo al plurale che propriamente è il muso del maiale, un rimando dantesco con il successivo schifo[5], sempre al plurale. Dante recita significativamente: non ten vegna schifo […] e non torcer lo grifo. E subito prima, in Dante come in Zanzotto, si parla appunto di terra.

Cioè: non aver paura di metterci il muso nella terra e di trarre i fili di nervi spenti (ife e birbe sono termini tecnici della botanica, si riferisce in particolare ai funghi), i sedimenti vili del rito, voglie così come schifi.

Galateo come norma, anche di comportamento; occhial scientifico richiama Galileo e la scienza che è  ricerca di norme.

Mi fermo qui, a poche indicazioni. Mi preme invece dire che l’operazione di Zanzotto non è sterile sfoggio di erudizione, ma è appunto ricerca, scavo incessante al fine di trovare filosoficamente il punto di incontro tra parola e verità, anche tenendo presente la lezione di Jacques Lacan e il suo parlare difficile come impedimento/stimolo al desiderio (è la difficoltà che fa crescere il desiderio). E come salvaguardia dell’insegnamento del passato, poeta come colui che traghetta dal regno dei morti ciò che salva i vivi dalla disperazione (Orfeo).




[1] A. ZANZOTTO, La carta sincrespa: sta sorridendo, «L’Espresso», 14 ottobre 1979, p. 161.
[2] cfr. A. ZANZOTTO, Alcune prospettive sulla poesia oggi.
[3] Nel senso di barbarica, minoritaria.
[4] Rimando a M. BORDIN, Il sonetto in bosco. Connessioni testuali, metriche, stile nellIpersonetto di Zanzotto,
[5] Inferno, canto XXXI.

2 commenti:

  1. Vero. Spesso il difficile è un filo di seta che avvolge la sottana il semplice la profondità del bravo nuotatore. Mirka

    RispondiElimina
  2. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina