Giorgio Caproni (foto di Dino Ignani) |
Di Giuseppe Cerbino
LE CARTE
LE CARTE
Imbrogliare
le carte,
far perdere la partita,
è il compito del poeta?
lo
scopo della sua vita?
Giorgio
Caproni
Da "L'opera in versi"
***
***
Questi
versi di Giorgio Caproni evocano
una crisi della poesia intesa come guida che apre certezze e
chiama a sé gli dei del senso, hölderlianamente parlando.
Il
poeta livornese suggerisce, con una domanda che vorrebbe quasi
imporsi come retorica, una concezione molto diversa da quella
classica e romantica del poeta inteso come messaggero degli dei (una
disintegrazione, in verità, già presente nel primo Montale e in molti
poeti del primo novecento, ma che in Caproni assume una dimensione
più drammatica e vissuta senza lo sguardo intellettuale e filosofico
di Montale) .
Per il nostro livornese, il
poeta è un imbroglione, un contrabbandiere di parole che passano
sottobanco sviando i controlli di una metaforica dogana.
Il
poeta è colui che inganna che fa perdere qualsiasi punto d'appoggio,
qualsiasi certezza.
Non più colui che, secondo una
notissima espressione di Montale scopre "il punto morto del
mondo, l'anello che non tiene"; infatti ricordando che menzogna
deriva da “mente” e quindi da capacità creativa, possiamo
affermare che è proprio qui che si realizza lo scarto rispetto a
Montale: questo impegno all'inganno, questo votarsi alla menzogna
produce un movimento dinamico che testimonia l'insofferenza ad
accettare delle verità qualsiasi perché solo la menzogna, la
creatività, rende l'uomo protagonista della propria vita (perché è
egli stesso a determinarla con l’estro) e non bisognoso di
conoscenze precise sul mondo.
L'opera di Caproni si
iscrive all'interno di una letteratura europea che lamenta
l'impossibilità
di imporsi nella società perché
quest'ultima procede su binari diversi e su dogmi che non sono più
letterari ( basti pensare ai grandi modelli presenti in opere come
l’Odissea o l’Iliade).
Purtroppo la società sta
perdendo la sua memoria letteraria che si estingue in un frastuono da
discoteca.
Ed ecco allora insinuarsi la domanda di
Caproni: in un mondo in cui la dispersione e l'inautenticità
diventano sostanza del reale, l'unica soluzione non è forse che la
letteratura operi un inganno per distorcere lo sguardo dal reale che,
appunto, uccide e spersonalizza?
E' questo oggi il
compito del poeta?
Ingannare per tornare paradossalmente alla
verità?
Ora
leggiamo una notissima poesia di Montale e cerchiamo di cogliere una
linea evolutiva tra il premio Nobel e il nostro livornese.
Non
chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro
informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come
un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah
l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso
amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa
sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la
formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba
e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò
che non siamo, ciò che non vogliamo.
(E.
Montale, da: “Ossi di Seppia” - 1925)
Eugenio Montale |
La
conclusione della poesia di Montale lascia ancora aperta una
questione metafisica.
La domanda rivolta al poeta inteso
come custode di una verità non è stornata, ma solo trasformata in
un lamento corretto però dalla ragione.
E' una
consapevolezza fredda quella che ci fa dire che non esistono certezze
e che siamo qui per soffrire e per avere desideri che non possiamo
mai realizzare.
Se da un lato Montale estingue la figura del
poeta vate, inteso come portatore di un qualche paradigma etico o
morale, dall’altro lato tale figura viene riabilitata in senso
nuovo concedendo al
poeta la possibilità di essere portatore di una scoperta (di
cui Montale stesso si compiace), la scoperta che l’intima
natura del mondo è il suo non senso,
e per sostenere ciò la poesia del poeta genovese manifesta un
continuo bisogno, come di una droga, dell’oggetto che nega.
E’
come se Montale avesse la consapevolezza che l’inganno della realtà
è ciò che nutre il mio stare nel mondo e che senza l’inganno noi
non possiamo comunque vivere perché esso stesso la sostanza del
reale.
In Caproni invece non c'è nemmeno questa
conclusione.
Egli dissolve ogni funzione del reale e
suggerisce che le parole del poeta sono artificio e si impongono esse
stesse come inganno facendoci evitare una morte data con l'assunzione
di una qualsiasi certezza anche quella di dire che montalianamente il
mondo non ha senso.
Si nota nel nostro livornese una tendenza a
depistare lo sguardo che vuole dare un preciso nome alle cose anche
quando questo nome evoca un vuoto.
A differenza di
Montale, egli non critica i suoi predecessori (i poeti "laureati"
come li chiamava il caro Eugenio).
Non condanna la poesia in
genere, ma va oltre: delimita i confini della poesia come un
linguaggio di fuga anzi un
linguaggio della fuga.
E' solo la fuga infatti che, nella distanza dal linguaggio comune,
diviene la fonte di suggestioni e metafore che nel linguaggio comune
stesso, come diceva Nietzsche, sono ormai cristallizzate e
inflazionate e non sono più "vive".
La mia
lettura della lirica di Caproni vuole essere anche uno sguardo
trasversale sulla poesia della seconda metà del ‘900 che trova in
Caproni una sua notevole espressione.
L'aspetto storico è
fondamentale se vogliamo rinvenire il senso delle parole che
risuonano in un gioco di inganni, di detti-non detti che
ingannevolmente nascondono tutta una concezione della realtà secondo
Caproni, concezione che non viene detta esplicitamente ma verso cui
il nostro poeta ci guida.
L'elemento che, in una maniera
originale, immette Caproni nel firmamento della lirica italiana è
una frantumazione
del discorso poetico a
cui però egli approda dopo un lungo itinerario passando dai Sonetti
delle prime opere alle forme più scarne ed essenziali degli ultimi
scritti. Questa breve lirica è un esempio stilistico che dimostra
come il poeta livornese, dopo il secondo conflitto mondiale, veda
nelle forme canoniche della poesia una forma assertiva fin troppo
tronfia e sicura di sé, espressione di quella retorica che non
riesce a cortocircuitare con l'esperienza dolorosa della guerra che
viene resa tangibile, attraverso il puro potere
evocativo della parola.
In questo modo Caproni fa sua la
lezione dell'Ungaretti del Porto sepolto.Quella di
Caproni è una poesia che si interroga su se stessa abbassando le
pretese di un certo tipo di poesia razionale tipica dei moderni che,
come gia si è detto prima cerca di esaurire il reale nel detto con
costruzioni lessicali che affascinano e ipnotizzano.
Detto
questo, però, è pur sempre alla parola di Caproni che bisogna
rimettersi per tentare di capire cosa c'è di sublime e di tremendo
dietro di essa, cosa essa nasconde, a cosa essa rimanda
Lo stile
dell'ultimo Caproni si compone di brevi segni, come piccoli colpi di
un pennello impressionista; segni che chiamano il lettore oltre le
parole stesse.
E' proprio questo aspetto che, a mio avviso, rende
l'opera poetica di Caproni, per diversi aspetti molto più
interessante ed esemplare di quella di Montale anche se rispetto ad
essa meno solenne.
La lettura costante dell'opera di
Caproni ci porta a tradurre questo confinamento del linguaggio
poetico proprio come un imbrogliare le carte che vuol dire sovvertire
le logiche del mondo.
Far perdere la partita traduce un
rovesciare quell'ottica secondo cui nel mondo bisogna vincere sempre
sopraffacendo gli altri.
A questo punto mi pongo una domanda un
po' diversa: "ingannare" forse non vorrebbe dire
paradossalmente aprirsi la strada ad un rapporto paritario e
dialogale con gli altri fuori dalle logiche di vittoria? e se c'è
questa esigenza, forse non è il compito del poeta soddisfarla?
In
questo, secondo me, si concretizza quel rimando
all'oltre di cui prima ho parlato; quel ritorno etico all'altro di
cui non v'è traccia in questo scritto caproniano (anzi sembra
esserci proprio il contrario, come suggerisce il significato comune
di inganno), ma a cui Caproni sembra proprio condurci oltre le
parole stesse.
Caproni :Un esistenzialismo che prende coscienza e vive nella Poesia
RispondiEliminaMi piaceva incontrarmi con il mio Oltre
OLTRE OLTRE
Oltre le nostre paure
Ci alimentiamo di futili Ricordi
Piacevoli pensieri
si rianimano alla vista di fermi orologi.....
Stai ucciso e messk in croce
RispondiElimina