domenica 18 settembre 2016

La metrica: a cosa serve e perché

Giovanni Pascoli e Gabriele D'annunzio: due grandi riformatori della metrica
Di Lorena Turri 

Un noto manuale di metrica inizia con queste parole:

"A chi non abbia interesse per la poesia la metrica non serve a niente, ed altrettanto inutile è per lui questo libro."(Pietro G. Beltrami - Gli strumenti della poesia - Il Mulino 2012)

Ciò significa che la conoscenza della metrica è necessaria, in primis, per la comprensione di un testo poetico. A maggior ragione, chi si approccia alla scrittura poetica dovrebbe almeno possedere una minima base strumentale, perché la metrica altro non è che uno degli strumenti della composizione poetica, seppure dal punto di vista linguistico non comunichi alcun significato. Poiché una poesia non si compone solamente di "ciò che si dice", ma anche di "come lo si dice", la forma è di fondamentale importanza. Questo non significa dover necessariamente adottare una scrittura metrica, ma il possesso conoscitivo di questo strumento permetterà di scrivere con maggior cognizione e compiutezza formale anche in una versificazione libera.


La metrica, al pari della musica, coordina anche i suoni, quindi incide sulle percezioni astratte non comunicabili altrimenti.

Dunque, conoscere la metrica permette di rilevare i margini entro i quali il testo poetico si muove e capire quale "musica" il poeta sta suonando e quale sia lo strumento che sta utilizzando.

Sappiamo tutti che una poesia si compone in versi, ed è importante sapere che  un verso è cosa ben diversa da  una riga di scrittura, interrotta da un "a capo" prima del margine destro del foglio e che spesso non coincide con la fine di una frase.

Un verso è l'unità di base della scansione del "discorso in versi", ovvero un discorso la cui struttura è motivata, oltre che dal significato, anche da principi formali estranei ad esso. Sostanzialmente può trattarsi di una serie di sillabe strutturate secondo regole ben precise (versificazione metrica), oppure di una serie di sillabe liberamente formata.


Verso è definibile anche come l'unità minima che teoricamente può costruire da sola un "discorso in versi" di senso compiuto. Un esempio autorevole: "M'illumino d'immenso" (G. Ungaretti).


All'inizio del secolo scorso, la poesia iniziò a liberarsi dalle regole della metrica tradizionale per mano di due grandi sperimentatori come Giovanni Pascoli e Gabriele D'Annunzio che apportarono notevoli cambiamenti nella verseggiatura. Si va dalle ben note onomatopee e sinestesie del primo sino alla sperimentazione del verso libero, dell'assenza di uno schema metrico, rimico o strofico del secondo. Il cambiamento ormai era in atto. In ogni caso, mai del tutto è stato abbandonato il verso orchestrato su rapporti numerici (numero di sillabe), di posizione (accenti), di suono.

Passando dai Futuristi, ai Crepuscolari si giunse a Giuseppe Ungaretti che formulò una poesia essenziale in cui assume una notevole rilevanza semantica la parola-verso, che lui stesso definì versicolo, cioè un verso composto da un'unica parola. 



Il verso libero, nelle sue più disparate forme, si conformò all'interno del mutamento culturale connesso con i grandi cambiamenti del mondo, opponendosi alla poesia come rappresentazione dell'epoca precedente.

Tendenzialmente il verso libero, inteso come liberazione dalla gabbia metrica, procede in direzione di una poesia in prosa. Ma la metrica del Novecento non si è liberata completamente dalle forme regolari per una dialettica tra regolarità e irregolarità del verso che procede di pari passo con la tensione storica e culturale.
La metrica di Montale, ad esempio, definita da Contini “moderatamente libera”, presenta versi canonici (endecasillabi) e versi che appaiono come alterazione degli stessi ma riconducibili ai medesimi ritmi metrici.

Diversamente, i versi-frase di Sanguineti o di Jahier non sono riconducibili ai metri tradizionali, ma ogni verso corrisponde a una frase oppure termina con un limite sintattico forte. 
Certi tipi di versi liberi possono rimandarsi a una versificazione di tipo accentuativo, potendo riconoscere all'interno di essi una costante numerica di accenti. Bacchelli stesso dichiarò di aver fondato il verso dei Poemi lirici sulla base di quattro accenti e così Palazzeschi, che allineava versi di tre sillabe (atona-tonica.atona), sulla scia del fortunato ritmo del novenario pascoliano.

Neppure la rima viene abolita del tutto con l'affermarsi della libera versificazione novecentista, che resta una risorsa d'artificio fonico-musicale, più spesso liberamente sostituita con assonanze e consonanze nelle riprese di forme chiuse tradizionali come, ad esempio, il sonetto che fu oggetto di nuove sperimentazioni “critiche” da parte di poeti quali Zanzotto, Raboni, Betocchi, Caproni. In Caproni la rima perfetta è una risorsa spontanea, spesso esibita e insistita ma leggera e svagata fino al salvataggio, prosciugato il discorso poetico, quasi esclusivamente della stessa.


La metrica è, dunque, uno strumento indispensabile per chi si accosta alla poesia, e come fruitore e come autore, qualsiasi sia l'idea personale del discorso poetico e la sua attuazione scritta.

La materia è vasta e complessa come ogni grammatica, ma è imprescindibile dalla storia della poesia e dalla sua evoluzione.

Come tutti gli artisti anche il poeta deve possedere gli strumenti per essere consapevolmente in grado di sceglierne o non sceglierne l'utilizzo.






Lorena Turri 





2 commenti:

  1. Quanta gente scrive poesie senza sapere bene cosa sia la poesia! Tutti, più o meno, sanno scrivere una lettera, d'accordo, ma scrivere una poesia è un'altra cosa. In cosa è un'altra cosa? Basta andare a capo più spesso? basta dare ritmo? fare rima? o c'è dell'altro?
    Qualcuno pensa che c'entri molto l'ispirazione. In cosa consiste essere ispirati? Si tratta forse di un'emozione forte? di un sentimento acuto? di una situazione d'estasi? Molti vivono queste fasi e non sentono affatto il bisogno di scrivere poesie. Eppure si tratta spesso di persone mature e coscienziose, perfettamente in grado di cogliere il significato pieno del momento che stanno vivendo. Cosa manca loro per spingerli a sentire (quantomeno) il bisogno di scrivere una poesia? Mancano alcune cose che proviamo a delineare.
    La prima è l'istinto. Fotografare un momento, un sentimento, un'espressione dell'anima in uno scritto (prosa o poesia è uguale) è un fatto istintuale. Questa mancanza d'istinto non è aridità o insensibilità, ma è differente cognizione del pudore o anche semplice paura di svelarsi agli altri o a stessi per quelli che si è o si teme di essere. Queste persone non saranno mai poeti nel senso letterario del termine, ma ciò non significa che non possano vivere le stesse sensazioni vissute dal poeta. Il frutto della loro necessità di esprimersi non sarà il foglio bianco sul quale vergheranno qualche verso rudimentale, ma potrà essere un gesto, una carezza, uno sguardo e mille altre azioni ugualmente provviste di una carica lirica intensissima. La poesia non è solo scrittura: la poesia esiste in natura come materiale lirico pronto ad emergere laddove gli è consentito, come un geyser, come un vulcano. Ma anche se il getto o la lava non dovessero fuoriuscire non significa che l'attività che la genera sia assente.
    La seconda è la coscienza estetica. Questa consapevolezza nulla aggiunge e nulla toglie alla materia "poesia". Cambia solo lo strumento umano. In alcuni si genera il bisogno di esprimere questa forte sollecitazione in un'espressione verbale che, a differenza di quella gestuale, fermi le biglie per un momento rendendola più attraente. La riflessione che inevitabilmente scaturisce dal connotato espressivo finalmente messo a fuoco, produce un nuovo livello di necessità: quello comunicativo. In altre parole, l'espressione non sa bastare a se stessa, ma pretende di espandersi comunicando. Qui nasce l'estetica. Ma l'estetica non è ancora poesia.(continua)

    Claudio Patrizio

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  2. (continua)
    La terza cosa è il distacco. Potrebbe sembrare un controsenso, ma la poesia, a differenza della prosa, usa le parole in modo profondamente diverso. Mentre la prosa adopera le parole per costruire un'espressione verbale e vestirla di un tessuto comunicativo organico e attraente, la poesia adopera le parole per fare l'esatto contrario: essa spoglia il poeta di ogni riferimento culturale e sensitivo (ecco perché, come diceva Leopardi, è importante lo studio per raggiungere la semplicità: per potersene spogliare al momento giusto, quando la poesia preme) e lo obbliga alla passività più assoluta per costringerlo a scrivere quasi sotto dettatura. E poco importa se i versi che ne usciranno saranno scabri ed essenziali (come vorrebbe Montale) o prolissi: la poesia esce dalla sua natura, qualunque essa sia, e per riconoscerla come tale non conta il risultato estetico, ma l'autenticità del percorso che la riporta alla luce del sole. Ecco perché potremmo avere pessime ed autentiche poesie (quelle dei bambini, per esempio) così come potremmo avere prose bellissime che non sono per nulla poesia. Ecco perché esistono tantissimi falsi poeti che spacciano per poesia ciò che poesia non è.
    La quarta cosa è la tecnica. Abbiamo appena detto che la poesia non aggiunge e trasforma, ma toglie e rivela, un po' come la scultura. La scultura è tecnica. Il sasso viene scolpito e colpo dopo colpo lo scultore intuisce quella che sarà la sua opera finale. Ma non ne avrà mai piena coscienza fino a quando l'ultimo colpo non sarà inferto. Neanche il poeta sa quello che scrive eppure, come lo scultore, si affida a una tecnica ben precisa. Senza tecnica, il sasso si trasformerebbe in una massa informe; senza tecnica, la poesia si trasformerebbe in un'accozzaglia di parole senza senso, ma soprattutto senz'anima. La tecnica diventa allora, essa stessa, generatrice di poesia. Un ritmo, una rima, una figura retorica, una figura eufonica diventano colpi di scalpello, colpi di pennello, colpi di genio artistico asserviti alla poesia che preme per uscire in tutta la sua potenza.
    A cosa serve la poesia? A niente e a tutto. Se ci si confronta con la poesia senza le adeguate direttrici essa può essere persino dannosa, infida, fuorviante e, peggio del peggio, autoreferenziale. Se si viene in qualche modo educati alla poesia, ai suoi presupposti e alle sue regole estetiche, essa può essere la forma più alta di conoscenza riservata all'umana specie, perché nulla più della poesia genera libertà e, perciò, predisposizione alla conoscenza.
    E i falsi poeti, se li conosci, li eviti.

    Claudio Patrizio

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